giovedì 25 dicembre 2014

Se solo potessi trasformarmi in passero per pochi minuti, forse riuscirei a salvarli


C'era una volta un uomo che non credeva nel Natale.
Era una persona fedele e generosa con la sua famiglia e corretta nel rapporto con gli altri, però non credeva che Dio si fosse fatto uomo. Era troppo sincero per far vedere una fede che non aveva.
"Mi dispiace molto - disse una volta a sua moglie che era una credente molto fervorosa - però non riesco a capire che Dio si sia fatto uomo; non ha senso per me".
Una notte di Natale, sua moglie e i figli andarono in chiesa per la messa di mezzanotte. Lui non volle accompagnarli.
"Se andassi con voi mi sentirei un ipocrita. Preferisco restare a casa e vi aspetterò".
Poco dopo la famiglia uscì mentre iniziò a nevicare. Si avvicinò alla finestra e vide come il vento soffiava sempre più forte. Tornò alla sua poltrona vicino al fuoco e cominciò a leggere un giornale. Poco dopo venne interrotto da un rumore, seguito da un altro e subito da altri. Pensò che qualcuno stesse tirando delle palle di neve sulla finestra della sala da pranzo.
Uscì per andare a vedere e vide alcuni passerotti feriti, buttati sulla neve.
La tormenta li aveva colti di sorpresa e, per la disperazione di trovare un rifugio, avevano cercato inutilmente di attraversare i vetri della finestra.
"Non posso permettere che queste povere creature muoiano di freddo... però come posso aiutarle?".
Pensò che la stalla sarebbe stato un buon rifugio; velocemente si mise la giacca, gli stivali di gomma e camminò sulla neve fino ad arrivare nella stalla. Spalancò le porte e accese la luce. Però i passerotti non entrarono.
"Forse il cibo li attirerà", pensò. Tornò a casa per prendere delle briciole di pane e le disseminò sulla neve facendo un piccolo cammino fino alla stalla.
Ma si meravigliò nel vedere che gli uccelli ignoravano le briciole e continuavano a muovere le ali disperatamente sulla neve. Cercò di spingerli in stalla camminando intorno a loro e agitando le braccia. Ma i passerotti volarono da tutte le parti, meno che verso il caldo rifugio.
"Mi vedono come un estraneo che fa paura - pensò - e non mi viene in mente nulla perché possano fidarsi di me... Se solo potessi trasformarmi in passero per pochi minuti, forse riuscirei a salvarli".
In quel momento le campane della chiesa cominciarono a suonare.
L'uomo restò immobile, in silenzio, ascoltando il suono gioioso che annunciava il Natale.
Allora si inginocchiò sulla neve: "Ora capisco Signore - sussurrò - perché Tu hai voluto farti uomo!".

Racconto di Natale

sabato 20 dicembre 2014

La vita degli edifici


Si tende a pensare che la vita degli edifici si concluda con la loro costruzione e che l'integrità di un edificio stia nel conservarlo esattamente come lo hanno lasciato i suoi costruttori. Ciò ridurrebbe la sua vita alla realtà consolidata di un istante preciso. Talvolta si può insistere sulla conservazione rigorosa di un edificio, ma questo, in un certo senso, significa che l'edificio è morto, che la sua vita, magari per motivi giusti e riconoscibili, è stata interrotta con violenza.

Rafael Moneo, La solitudine degli edifici e altri scritti
(a cura di) Andrea Casiraghi e Daniele Vitali, Torino, Umberto Allemandi & C., 2004, pp.154,155.

sabato 29 novembre 2014

E, alla fine, la nostra arroganza ci porterà alla sconfitta


E, alla fine, la nostra arroganza ci porterà alla sconfitta, perché ci reputeremo talmente sicuri di noi stessi da non scorgere le trappole sul campo di battaglia.

Paulo Coelho, Il cammino di Santiago

mercoledì 12 novembre 2014

La sindrome di Fabrizio - da Sette



Dalla rubrica Italia sì Italia no di Sette, inserto del Corriere della Sera

L'Isis non ci indigna, la minaccia islamica ci lascia indifferenti. Siamo come il personaggio di Stendhal: viviamo una svolta della storia e non ce ne rendiamo conto.

NO
Dire che si protesta contro una guerra soltanto quando sono gli Stati Uniti a farla è un luogo comune. Ma, come molti luoghi comuni, è abbastanza vero. Riconosciamolo: la guerra all'Isis non scalda i cuori. Le turpi violenze dell'esercito islamico - e quelle di Boko Haram, che continua a rapire adolescenti in Nigeria - non indignano l'opinione pubblica, in particolare quella italiana. Forse perché siamo l'unico Paese occidentale a non aver ancora provato sulla propria pelle la crudeltà dei terroristi islamici (Nassiriya è lontana nello spazio e ormai anche nel tempo). Forse perché siamo un Paese provinciale, ripiegato sul proprio ombelico. Fatto sta che la guerra dei fondamentalisti all'Occidente è considerata un fatto esotico e remoto, che non ci chiama in causa e non ci riguarda. Semmai ci preoccupiamo che qualche immigrato non porti ebola (vergognoso l'ostracismo in classe verso la figlia di un militare italiano in missione in Africa). In realtà, il confronto con l'Islam è il grande tema del nostro tempo. È un confronto innanzi tutto politico e culturale, quindi potenzialmente fecondo; ma purtroppo è anche un confronto militare. L'11 settembre è stata la scintilla che ha fatto deflagrare uno scontro che covava da tempo. Il disastroso intervento americano in Iraq è stata esattamente la risposta che gli estremisti si auguravano. Ora nell'Islam è scoppiata una guerra civile. Ribelli contro gli antichi regimi, sunniti contro sciiti. Gli errori dell'Occidente hanno fatto il resto. I francobritannici hanno provocato la caduta dell'indifendibile Gheddafi, ma si sono disinteressati della ricostruzione della Libia. L'amministrazione Obama, che stava per colpire gli insorti contro Assad, ora appoggia Assad contro gli insorti. L'Egitto è ripiombato nelle grinfie di una dittatura militare, retta più su plebisciti che su libere elezioni. Le uniche buone notizie vengono dal Paese tradizionalmente più avanzato, la Tunisia. Ma sinceramente non mi pare che in Italia ci sia la consapevolezza necessaria e naturale per un Paese allungato nel Mediterraneo. Né mi pare che le pratiche crudeli dell'Isis verso i prigionieri, verso le donne, verso i cristiani, verso i curdi suscitino l'indignazione e la reazione che meritano. Kobane, la roccaforte curda assediata dagli assassini islamici, rischia di passare alla storia come la nuova Srebrenica, una vergogna per la comunità internazionale e specificatamente per la Nato, di cui fa parte la Turchia che finora è rimasta a guardare il martirio dei peshmerga. Che fa l'Europa? E la Merkel, concentratissima nel contrasto a Putin, molto meno sul Medio Oriente? E la Mogherini? E i pacifisti? E l'opinione pubblica? Il Papa parla di terza guerra mondiale. Ce ne rendiamo conto? Sappiamo o no che la prossima bomba atomica sarà lanciata non da uno Stato, ma da un'organizzazione terroristica? Si sta facendo tutto il possibile contro la proliferazione nucleare? La Russia sta collaborando? Non c'è il rischio che venga lasciata briglia sciolta all'Iran sciita, alleato contro l'Isis sunnita? non si poteva fare di più per salvare Reyhaneh? Ho l'impressione che abbiamo tutti altro per la testa. Siamo come Fabrizio Del Dongo, il personaggio della Certosa di Parma di Stendhal, che attraversò la battaglia di Waterloo senza accorgersi di nulla. Viviamo un tornante della storia, e non ce ne rendiamo conto.


Cent'anni fa, i nostri nonni si fecero trovare pronti all'appuntamento con la storia. E lo stesso fecero i nostri padri negli anni terribili della Seconda guerra mondiale e della guerra civile. La lunga denigrazione delle Resistenza, e la sua riduzione a una "cosa di sinistra", tutta fazzoletti rossi e Bella ciao, ha però fatto dimenticare figure straordinarie, come i militari che non si sbandarono dopo l'8 settembre ma guidarono la lotta contro l'invasione nazista. Così è poco nota una figura luminosa come quella del capitano Franco Balbis: valoroso soldato a El Alamein, tra i capi del Comitato di liberazione del Piemonte, fucilato al poligono torinese del Martinetto dopo aver offerto ai carnefici la sua vita per salvare i compagni. A 70 anni del suo sacrificio, Balbis è stato commemorato ad Alassio, nell'istituto don Bosco, dove studiò da ragazzo. Una piastrella in cortile ricorda agli allievi di oggi il coraggio e l'amor di patria di cui fu animato.

Aldo Cazzullo

Fonte: Sette n.45 07/11/2014

mercoledì 5 novembre 2014

Guido Guidi a Ravenna


Giovedì sera a Ravenna.
Così per tutto l'autunno.
Ma quel giovedì noi,
compagne di
università e disavventure,
amiche e socie,
siamo state calamitate al MAR
per la mostra di Guido Guidi.

Eccola qua.








 










Sunwand

giovedì 23 ottobre 2014

Professione architetto: diffidate dalle imitazioni


Capita spesso che mi chiedano quali siano le mie competenze, quale il mio ambito di lavoro o addirittura quanti esami debba sostenere per diventare geometra…

Ebbene sì, in pochi conoscono veramente la figura dell'architetto. C'è tanta disinformazione a riguardo, per questo ho pensato di presentarvi la mia professione.

Non è solo una questione di conoscenza, si tratta di qualcosa di più importante, di un'operazione culturale che è diventata la mia missione. In un periodo storico come quello in cui stiamo vivendo, è ancora più importante fare chiarezza e chiamare le cose con il loro nome per poter dare il giusto valore a quello che si fa.

In uno scenario animato da arredatori, interior designer, falsi architetti, consulenti d'arredo, artisti, disegnatori, autodidatti ecc… ormai tutti si improvvisano professionisti senza esserlo di diritto ma, a giudicare dalle parcelle, essendolo di fatto.

L'architetto è colui che ha conseguito una laurea (se triennale è detto architetto junior, se quinquennale è detto architetto senior) in architettura, possiede l'abilitazione professionale ed è iscritto all'Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggisti Conservatori della Provincia in cui esercita la professione. Chi non ha fatto questo percorso non è architetto, anche se si fa chiamare con questo titolo.

A tal proposito, emblematica di questa confusione è la definizione riportata nell'enciclopedia Wikipedia:

"L'architetto è la figura professionale massimamente esperta della progettazione architettonica a qualsiasi scala, del restauro dei monumenti, della progettazione del paesaggio, dell'allestimento, dell'estimo immobiliare e del disegno. È storicamente tra gli attori principali della trasformazione dell'ambiente costruito. Gli architetti trovano impiego non solo nel campo dell'edilizia, ma anche in settori più o meno affini all'architettura, come design, ergonomia e grafica.

Il termine deriva dal greco ἀρχιτέκτων (arkhitekton), parola composta da arkhi (capo), particella prepositiva che serve a denotare "superiorità", autorità, ma soprattutto pensiero, ossia responsabilità e consapevolezza di colui che si accinge a costruire, e tékton particella che riguarda l'azione, l'operatività (tecnico, ingegnere). Dal termine "architetto" è derivato quello di "architettura" (non il contrario).

Malgrado quello di architetto sia un termine specifico riferito a un professionista laureato e abilitato, il termine è spesso usato impropriamente in un senso più generico per definire chi viene incaricato di progettare l'edificazione (o demolizione) di un ambiente attraverso gli strumenti della ragione (per esempio alcuni ideatori di software o i designer talvolta chiamano se stessi architetti). Il titolo di architetto è tutelato dalla legge, in Italia come in molti altri paesi europei, ed è reato fregiarsi di tale titolo senza possederne le caratteristiche legali, quali titoli accademici o iscrizione all'ordine professionale".

Dunque, l'architetto crea gli spazi, progetta le visuali, delinea uno stile di vita all'interno delle sue creazioni, suggerisce e provoca emozioni, sensazioni, contrasti. È il regista che coordina la creazione di tutte le parti di cui si compone uno spazio, fa delle scelte importanti che rispondono alle singole esigenze seguendo un unico filo conduttore che è l'idea progettuale.

L'arredatore (o figure simili) è colui che, con o senza titolo di studio, con o senza aver eseguito un corso specifico, con – o quasi sempre senza – partita IVA, dà consigli sull'arredo, l'illuminazione, le finiture interne, l'uso dei colori e dei materiali. Risulta facile per tutti, con i mezzi di comunicazione e informazione di cui disponiamo, cogliere e lasciarsi affascinare da un dettaglio, da una lampada, un arredo o un materiale particolare. Questo non fa di noi degli architetti.

Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo. Il progetto non è il risultato di scelte casuali dettate dalla moda del momento, bensì deriva dall'assimilazione e rielaborazione di proporzioni, forme e figure ereditate dalle tradizioni passate.

Ciò che fa la differenza e detta l'esigenza di affidarsi alla consulenza di un professionista è la genialità che sovrintende il progetto, l'idea generatrice che porta alla scelta di determinati materiali, colori, arredi. Il gusto e lo stile di un architetto possono essere discutibili o non condivisibili ma la qualità del risultato è garantita dalla professionalità della figura.

Non si progetta solo lo spazio come entità fisica ma anche la vita che si svolgerà all'interno di esso. Non basta realizzare un edificio da copertina se poi questo non rispecchia le esigenze e la personalità dei committenti. Sarebbe superficiale pensare di riprendere qualche idea copiata da una rivista o un particolare rubato da internet per creare un progetto di valore (indipendentemente dal budget speso). È l'armonia fra i volumi, lo studio dei percorsi, il ruolo della luce, il contrasto o la combinazione di colori e materiali che fanno di un progetto un'opera architettonica.

Un'opera unica, perché unica è l'idea e il professionista che l'hanno generata. Perciò, se volete un architetto, "diffidate dalle imitazioni".

Mariasilvana Tesoro

fonte: Professione architetto: diffidate dalle imitazioni; Odysseo navigatori d'esperienza

venerdì 17 ottobre 2014

Lo spirito della montagna #2


La montagna, la sua natura, i suoi sentieri, le sue bellezze. La montagna e la sua storia. Perché anche le nude rocce sanno raccontare. C'è stato un tempo in cui quelle cime sono state spettatrici e attrici della storia dell'uomo e ancora ci parlano e ci raccontano.
L'aria si impregna dell'odore della terra e dell'erba dopo una giornata di pioggia. Le nubi, al confine tra la vallata e i monti, lentamente si dissolvono e rendono visibili quelle alte punte. La dura roccia bianca e grigia ancora parla e ancora piange. È stata ferita, è stata scavata e forata, è stata pretesa, conquistata, abbandonata. E ancora piange pensando a quando si colorò di rosso. Ci narra di quei morti per amor di patria, di quei uomini sofferenti, mutilati nello spirito e nel corpo. Su quel sangue da loro versato e da lei bevuto un secolo dopo nascono fiori, genzianelle, stelle alpine e campanule. Il Sole splende e quel monte piatto offre una vista che toglie il respiro: le punte ancora innevate si innalzano fino a toccare il cielo, fino a cercare di raggiungere Dio, quelle cime che a Dio, in un'abbraccio misericordioso del Padre, hanno affidato i figli della terra e del cielo.

Sunwand

venerdì 10 ottobre 2014

Ho solo 25 anni


E i 25 sono passati.
C'è chi mi ha detto:
"Benvenuta nel quarto di secolo!"
C'è chi non li ha festeggiati.
Io, ieri.

Tutti mi dicono che sono un bambina:
"Cosa vuoi, cara, hai solo 25 anni!"
eppure non è vero.

Tra cinque anni ne avrò trenta:
cosa avrò in mano?
Lavoro, famiglia, amici, carriera,
o niente di tutto ciò?

Abbasso lo sguardo e fisso le mani.
Quello che so è che ora sono qua,
con le delusioni, i lavori non pagati,
con le speranze, i sogni da realizzare.

Il domani fa paura
e a 25 anni ci pensi.
È una nuvola, è nebbia.

Sono partita dal progetto e ora mi trovo
al di sotto della linea di terra;
ma ogni edificio, per essere realizzato,
ha bisogno di fondazioni
inserite profondamente nella terra.

Io, a 25 anni, sono lì
dove forse dovrei essere:
impaurita e ansiosa,
nello scavo delle fondazioni
della casa che sarà la mia vita.

Sunwand

mercoledì 1 ottobre 2014

Lo spirito della montagna #1


È passato solo un mese da quando sono rientrata dalla montagna. Solo un mese e ho già voglia di ritornarci. La montagna con il suo cielo notturno ricamato da miliardi di stelle, la montagna con i suoi impetuosi torrenti e azzurri laghi, la montagna con i suoi ricchi prati e boschi, la montagna con le sue imponenti cime. La montagna.
È strano come tutto quel camminare e faticare per giorni mi faccia tornare a casa rilassata, rinfrancata, rigenerata.
A dispetto del mare. Non che detesti il mare ma la confusione, la calura estiva, l'immobilismo della tintarella mi da un senso di nausea e spossatezza.
L'aria, l'acqua, la terra con cui sei a contatto diventano lo stagno che salda e riunisce il corpo con l'anima. Invece ora, mentre esco dall'ufficio per andare a pranzo e fare due passi, vengo inondata dal fumo dello scarico delle auto e dalla puzza dei canali di aspirazione del ristorante del centro commerciale.
Passerà un anno prima che ritorni lassù. Anzi, chissà se il prossimo anno avrò la disponibilità economica e lavorativa per ritornarci.
E oggi va così, oggi sono nostalgica.
Dov'era? Eccolo quel taccuino nero con il nostro diario di viaggio, le spese, la lista delle cose da non dimenticarsi. Lo sfoglio e ripenso a quei giorni poi non così lontani, quei giorni di tuta e scarponi, di a letto presto e dormite di 10-11 ore, di escursioni e meraviglie naturali, di funghi raccolti e pasti infiniti.
E mi chiedo, come si fa a non innamorarsi di quelle cime?

Sunwand

giovedì 18 settembre 2014

Lettera di Abramo Lincoln all’insegnante di suo figlio


Caro professore, insegni al mio ragazzo che non tutti gli uomini sono giusti, non tutti dicono la verità; ma la prego di dirgli pure che per ogni malvagio c'è un eroe, per ogni egoista c'è un leader generoso. Gli insegni, per favore, che per ogni nemico ci sarà anche un amico e gli faccia capire che vale molto più una moneta guadagnata con il lavoro che una moneta trovata. Gli insegni a perdere, ma anche a saper godere della vittoria, lo allontani dall'invidia e gli faccia riconoscere l'allegria profonda di un sorriso silenzioso.
Lo lasci meravigliare del contenuto dei suoi libri, ma gli conceda anche il tempo per distrarsi con gli uccelli nel cielo, i fiori nei campi, le colline e le valli. Nel gioco con gli amici, gli spieghi che è meglio una sconfitta onorevole di una vergognosa vittoria, gli insegni a credere in se stesso, anche se si ritrova solo contro tutti. Gli insegni ad essere gentile con i gentili e duro con i duri e gli faccia imparare a non accettare le cose solamente perché le hanno accettate anche gli altri. Gli insegni ad ascoltare tutti ma, nel momento della verità, a decidere da solo. Gli insegni a ridere quando è triste e gli spieghi che qualche volta anche i veri uomini piangono. Gli insegni ad ignorare le folle che chiedono sangue e lo esorti a combattere anche da solo contro tutti, quando è convinto di aver ragione. Lo tratti bene, ma non da bambino, perché solo con il fuoco si tempera l'acciaio.
Gli faccia conoscere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso. Gli trasmetta una fede sublime nel Creatore e gli insegni ad avere fiducia anche in se stesso, perché solo così può avere fiducia negli uomini. So che le chiedo molto, ma veda cosa può fare, caro maestro.

sabato 26 luglio 2014

Da dentro le mie cicatrici.


In foto ti vedi come ti vedono gli altri, ed è insopportabile. Io avrei voluto una foto dei miei vorrei.. dei miei non potevo ma adesso eccomi, sarei stata meravigliosa vista da dove mi guardo io.
Da dentro le mie cicatrici.

Concita De Gregorio - Così è la vita - 2011

mercoledì 23 luglio 2014

Come può una storia finire dopo otto anni di complicità, di amore ricambiato?


Come può una storia finire dopo otto anni di complicità, di amore ricambiato?
Non sto parlando di semplice tradimento che brutalmente stronca una relazione, non sto parlando di chissà quali azioni o eventi che immediatamente mettono un punto, il punto finale, ad un importante capitolo della nostra vita.
Parlo di quella fine inaspettata, forse sono temuta, quella che spiazza: uno lascia e l'altro si smarrisce.
Essere lasciati dalla persona che si ama è un pugnale a doppio filo che brutalmente si insinua nel cuore: ti lascia esanime e disperato. Per quanto il tempo possa guarire tutte le ferite, le cicatrici rimangono.
Eppure spesso quella lama da tempo è lì davanti al petto: tuttavia finché non entra non ci accorgiamo della sua presenza. L'amore finisce, i sentimenti dei momenti iniziali sono mutati, si cresce e gli interessi cambiano.
È quello che è successo qualche giorno fa ad una amica. Ora questo può succedere a tutti, sposati o fidanzati: mi sono chiesta quindi se tutte le motivazioni che chiudono un rapporto che durava da anni in realtà siano solo il risultato di segni non colti precedentemente, di ripetuti e abituali comportamenti sbagliati che portano ad allontanare le due persone.
Così ho pensato un po' alla storia tra me e L., a quanto, tempo fa, la tensione fosse aumentata tra noi tanto da arrivare pressoché vicini alla rottura. Sono convinta che molto spesso la fine di una storia sia responsabilità di entrambi: voglio quindi fare un mea culpa, una riflessione su come allontaniamo da noi le persone che ci voglio bene, su come portiamo la persona che abbiamo accanto in una strada senza uscita.
In realtà il come non è di certo solo uno; tuttavia credo che siano due gli atteggiamenti frequenti che molti di noi commettono. Credo che il primo sia scaricare tutti i nostri affanni, le delusioni, i fallimenti, sul nostro partner, sfogarci pesantemente per ogni cosa, insomma riversagli addosso le nostre frustrazioni e darlo per scontato.
Le delusioni di una giornata al lavoro, le tensioni che portiamo addosso, la stanchezza, sono pesi che abbiamo bisogno di scaricare e chi meglio c'è di chi abbiamo accanto per essere ascoltati? È solo parte di un pensiero l'idea che anche lui/lei abbia avuto una giornata non facile e che oltre a sopportare il proprio peso debba anche accollarsi il nostro. Un grande errore spesso è credere che le nostre frustrazioni, i nostri impegni, siano assolutamente e di gran lunga più pesanti, assillanti esasperati di quelli sopportati dalla nostra metà. E magari è anche vero.
Nulla però ci da il diritto di rispondere in malo modo, di alzare la voce, di accanirci contro chi nulla ha a che fare con tutto ciò che durante la nostra giornata è successo. La frustrazione è da lasciare fuori dalla porta di casa. Ora se questa situazione si protrae per anni ci si abitua, si impara a pazientare, si spera che le cose vadano meglio; infine, però, si raggiunge la frutta! Non è facile rendersi conto di questa cosa, no non lo è per niente! Pensi che sei tu che sopporti tutto e lui/lei deve solo ascoltarti in fondo. Brucia sulla pelle la rabbia che cresce quando chi hai accanto non ti vuole ascoltare, un la pensa come te, e tu inveisci, alzi la voce...
Rendersi conto dei modi di comportarsi sbagliati è dura, è dura persino cercare di pensare che siamo noi a sbagliare quindi figuriamoci quanto sia difficile cambiare davvero. Eppure è necessario.
Ogni giorno dovrebbe essere teso migliorare se stessi, metterci in discussione, guardarci allo specchio e tentare di accorgerci dei nostri errori prima di ricevere una bella botta sui denti! Forse se lungo la strada cerchiamo di non dare per scontata la persona con cui ci teniamo per mano, se cerchiamo di vivere con più tranquillità e leggerezza, se cerchiamo di abbandonare le frustrazioni, l'abitudine, la stanchezza e l'egoismo, forse davanti a quella strada chiusa, davanti a quel vicolo cieco, insieme si potrebbe abbattere quel muro e proseguire il cammino su quella strada uniti anziché lasciare la mano, voltarsi e andarsene.

Sunwand

lunedì 21 luglio 2014

A tutti serve un copilota


Ryan: Cara mi ha detto che tu hai qualche ripensamento.
Jim: Io non penso che sarò in grado di arrivare in fondo.
Ryan: E perché hai deciso di dirlo solo oggi?
Jim: Beh...ieri sera me ne stavo...ero sul letto e non riuscivo a dormire così ho cominciato a pensare alle nozze, alla cerimonia e al fatto che stiamo comprando casa e che andremo a vivere insieme, che avremo un figlio e poi un altro figlio e poi Natale, il giorno del Ringraziamento, le vacanze scolastiche e poi le partite di football e tutto a un tratto si stanno laureando, trovano lavoro e si sposano e poi io divento nonno, poi vado in pensione, perdo i capelli, ingrasso e prima che me ne accorga sono morto. E mi sento come non...non faccio che pensare "A che serve?". Me lo sai dire a che serve?
Ryan: A che serve?
Jim: Sì, insomma, che sto mettendo in piedi qui?
Ryan: È, Jim, è il matrimonio, è tra le cose più belle sulla faccia della terra, è quello a cui ogni persona aspira.
Jim: Tu non ti sei mai sposato.
Ryan: Questo è vero.
Jim: Non ci hai nemmeno provato.
Ryan: Bhe, è difficile definire "provare", sai...
Jim: Non lo so, tu sembri più felice di tutti i miei amici sposati.
Ryan: Senti, Jim, non voglio mentirti: il matrimonio può essere un inferno e hai ragione, tutte quelle cose porteranno alla tua eventuale dipartita.
Jim: Esatto.
Ryan: Il tempo passa per tutti e non possiamo né rallentarlo né fermarlo e poi finiremo tutti nello stesso posto.
Jim: Già.
Ryan: Quindi non serve a niente.
Jim: Non serve a niente, è quello che dico io!
Ryan: Lo so...Sai, io non sono certo la persona giusta con cui parlare di queste cose ma, se tu ripensi ai ricordi più belli, ai momenti più importanti della tua vita, eri da solo?
Jim: No, credo di no.
Ryan: E pensaci un attimo: ieri sera, la sera prima delle nozze quando queste stronzate ti giravano in testa, tu e Julia e eravate in camere separate?
Jim: Sì, Julia è voluta tornare a casa e io sono restato da solo nella suite "Luna di Miele".
Ryan: Ti sentivi solo, eh?
Jim: Sì, parecchio solo.
Ryan: La vita è meglio in compagnia.
Jim: ...Già...
Ryan: A tutti serve un copilota.
Jim: Tu sei un grande!
Ryan: Grazie.
Jim: Allora, che aria tira là fuori?
Ryan: Non buona.
Jim: Lei è incazzata?
Ryan: Diciamo turbata.
Jim: Che dovrei fare?
Ryan: Va da lei!

Tratto da "Tra le nuvole" di Jason Reitman, sceneggiatura di Jason Reitman e Sheldon Turner

venerdì 18 luglio 2014

Doodle Mandela - Oggi avrebbe compiuto 96 anni

È così che Google lo vuole ricordare, non con un semplice doodle che lo rappresenti, bensì con una sequenza di immagini che ne descrivano il cuore, l'anima di quest'uomo: la sua essenza nelle sue frasi.
Quello di oggi è un doodle speciale e non voglio farmelo scappare!
Lo voglio "catturare", fermare, appuntare qui.
E così ecco le cit. di Madiba!


No one is born hating another person because of the colour of his skin or his background or his religion.
Nessuno nasce odiando qualcun altro per il colore della pelle, il suo ambiente sociale o la sua religione.

People must learn to hetea and if they can learn to hate they can be taught to love for love comes more naturally to the human heart than its opposite.
Le persone imparano a odiare, e se possono imparare a odiare possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell'odio.

What counts in life is not the mere fact that we have lived. It is what diffefference we have made to the lives of others that will determine the significance of the life we lead.
Quello che conta nella vita non è il semplice fatto che abbiamo vissuto. È il modo in cui abbiamo fatto la differenza nella vita degli altri a determinare il significato della vita che conduciamo.

Educatione is the most powerful weapon which we can use to change the world.
L'istruzione è l'arma più potente per cambiare il mondo.

For to be free is not merely to cast off one's chains, but to live in a way that respect and enhances the freedom of others.
Essere liberi non significa solo spezzare le proprie catene. Significa vivere rispettando e valorizzando la libertà degli altri.

The greatest glory in living lies not in never falling, but in rising every time you fall.
La maggior gloria nella vita non è non cadere mai, ma rialzarsi ogni volta che si cade.

Quando una persona, con fede e pazienza, può cambiare il destino di un popolo.

lunedì 14 luglio 2014

Danno collaterale

Marika, 20, with newborn baby in Faizabad hospital. Badakhshan Province.
Photo by Paula Bronstein, Getty Images
Quindi parlò delle tradizioni tribali che accompagnavano il conflitto nella regione: la jirga che i gruppi belligeranti tenevano prima di fare una battaglia, per discutere quante perdite erano disposti ad accettare, dato che i vincitori erano tenuti a prendersi cura delle vedove e degli orfani dei nemici sconfitti.
«La gente in quella parte del mondo è abituata alla morte e alla violenza» affermò. «E se dite loro: "Ci spiace che tuo padre sia morto, ma è morto da martire perché l'Afghanistan potesse essere libero", e se offrite loro compensazione e onore per il sacrificio che hanno fatto, credo che la gente ci sosterrebbe, anche adesso. Ma la cosa peggiore è quella che stiamo facendo: ignorare le vittime. Chiamarli "danno collaterale" e non cercare nemmeno di contare il numero dei morti. Perché ignorarli significa negare che siano mai esistiti, e nel mondo islamico non c'è insulto peggiore. Per questo non saremo mai perdonati.»

Greg Mortenson e David Oliver Relin - Tre tazze di tè

Central Asia Institute

domenica 13 luglio 2014

Abbiamo perso anche questo crepuscolo


Abbiamo perso anche questo crepuscolo.
Nessuno ci ha visto stasera mano nella mano
mentre la notte azzurra cadeva sul mondo.

Ho visto dalla mia finestra
la festa del tramonto sui monti lontani.

A volte, come una moneta
mi si accendeva un pezzo di sole tra le mani.

Io ti ricordavo con l'anima oppressa
da quella tristezza che tu mi conosci.

Dove eri allora?
Tra quali genti?
Dicendo quali parole?
Perché mi investirà tutto l'amore di colpo
quando mi sento triste e ti sento lontana?

E' caduto il libro che sempre si prende al crepuscolo
e come cane ferito il mantello mi si è accucciato tra i piedi.

Sempre, sempre ti allontani la sera
e vai dove il crepuscolo corre cancellando statue.

Pablo Neruda

giovedì 10 luglio 2014

Il sogno è il nutrimento dell'anima


L'uomo non può mai smettere di sognare. Il sogno è il nutrimento dell'anima, come il cibo è quello del corpo. Molte volte, nel corso dell'esistenza, vediamo che i nostri sogni svaniscono e che i nostri desideri vengono frustrati, tuttavia è necessario continuare a sognare, altrimenti la nostra anima muore.

Paulo Coelho, Il cammino di Santiago

mercoledì 2 luglio 2014

Perché mentre proteggi i piedi c’è sempre qualcuno che raccoglie una pietra per tirartela in testa


Forse dovrei raccontarti un mondo di innocenze e gaiezze. Ma sarebbe come attirarti in un inganno. Sarebbe come indurti a credere che la vita è un tappeto morbido sul quale si può camminare scalzi, e non una strada di sassi. Sassi contro cui si inciampa, si cade, ci si ferisce. Sassi contro cui bisogna proteggersi con scarpe di ferro. Ma neanche questo basta perché, mentre proteggi i piedi c’è sempre qualcuno che raccoglie una pietra per tirartela in testa.

Oriana Fallaci - Lettera ad un bambino mai nato

domenica 29 giugno 2014

Lei rise


Lei rise. E lui pensò che non c’era lavoro più importante e più gratificante del riuscire a farla ridere ancora. Forse allora questo è l’amore: avere qualcuno che ti faccia ridere e sorridere, una nuvola di leggerezza al tuo fianco, per sempre.

Helen Simonson - Una passione tranquilla.

venerdì 27 giugno 2014

Voglio essere felice


Si muore nell’ostinato tentativo di avere ragione. Ma la ragione non è mai tutta da una parte. Per avere ragione si è disposti a tutto. Anche a guastare la vita propria e quella degli altri. Io ho deciso. Non voglio avere ragione. Voglio essere felice.


Luciana Littizzetto

giovedì 26 giugno 2014

Bacio


Bacio che sopporti il peso
della mia anima breve
in te il mondo del mio discorso
diventa suono e paura.

Alda Merini

domenica 22 giugno 2014

Ti vedo io. Ci sono io!


In città un grande condominio di 7 piani era in fiamme.
Scattato l'allarme, quasi tutti gli inquilini si precipitano fuori dagli appartamenti per mettersi in salvo dal fuoco e dal fumo. Quelli dei primi piani, senza eccessivo pericolo, si erano buttati precipitosamente dalle finestre, dopo aver tentato di salvare anche qualche suppellettile.
Le sirene, le scale, i getti d'acqua dei vigili del fuoco davano all'incendio un tono di tragedia. Ma fra tanto baccano, ecco che al quarto piano, improvvisamente, si nota l'agitazione di due piccole braccia e le grida tenui di una voce interrotta dal pianto. Si tratta di Luca, un bambino di 6 anni, rimasto intrappolato al 4° piano, fra le fiamme e il fumo.
Spostare le scale dei pompieri collocate nell'altro lato dell'edificio non era possibile. Ancora pochi secondi, e Luca sarebbe rimasto ingoiato per sempre.
Subito i soccorritori avevano fatto ressa sotto l'alta finestra, gridando e incoraggiando il bambino. Ma le sue grida disperate aumentavano.
Ad un tratto sopraggiunge il papà del bambino. Con tutta la voce e la sicurezza dell'amore, fa sentire la sua presenza e gli ordina: "Luca, buttati, sono papà!".
Ma Luca, sempre più immerso nel fumo, risponde: "Papà, non ti vedo!".
E il papà: "Non importa! Buttati! Ti vedo io!".
E Luca, fidatosi della parola di papà, si lanciò fra le sue braccia del padre e di altri soccorritori, e fu salvo.

Nel mistero della vita, della Parola, e nell'Eucaristia stessa, forse ti verrà da gridare: "Signore, non ti vedo". Ma ti sentirai rispondere: "Non importa! Buttati! Ti vedo io. Ci sono io!"

Buon Corpus Domini!

martedì 17 giugno 2014

Qualunque cosa avvenga di te e di me


E ti dico ancora: qualunque cosa avvenga di te e di me, comunque si svolga la nostra vita, non accadrà mai che, nel momento in cui tu mi chiami seriamente e senta d’aver bisogno di me, mi trovi sordo al tuo appello. Mai.

Hermann Hesse

domenica 15 giugno 2014

E così è l'Italia.

Claudio Marchisio e Mario Balotelli

E così è l'Italia.
Cade, si inginocchia e poi si alza; crolla, arranca e poi vince.
La nazionale che ieri ha giocato a Manaus rappresenta in tutto lo Stato da cui è partita.
Italia mia, quanta ricchezza e quanta povertà: povertà di possibilità, povertà di occasioni, ricchezza di bellezza, ricchezza di sogni. È questo ciò che sei?
E sempre si procede in bilico, come in questi mondiali dove nulla puoi lasciare al caso, come in questo Paese dove un attimo tutto è perfetto e in un attimo tutto precipita a terra e va in frantumi: parlo dell'economia, del patrimonio artistico, del terreno su cui abitiamo, della fiducia nelle nostre possibilità. Anch'io ieri sera ho detto "Tanto l'Italia perde, L'Inghilterra ci farà un culo così!", anch'io ho detto "In Italia non troverò mai un lavoro; in Italia non riusciremo a realizzare mai niente di buono!". Eppure ieri sera l'Italia con Sirigu ha vinto, eppure ieri sera l'Italia, stringendo i denti, rimanendo concentrata ha dato una lezione di forza, coraggio e maestria. È questa l'Italia?
Se così è, se la nostra nazionale è lo specchio del nostro paese, se prima soffre e poi si rialza, forse allora, prendendo esempio dai nostri "guerrieri", potremmo anche noi risorgere e scuoterci dalla polvere che abbiamo addosso, realizzare sogni e progetti con eleganza e maestria, avere voce in capitolo davanti a chi prima ci bistrattava e denigrava.
Quindi in bocca al lupo ragazzi! Continuate a farci sognare ed esultare, continuate a darci la speranza necessaria per vincere ogni giorno le nostre partite quotidiane, insegnateci come fare e noi vi sosterremo e gioiremo con voi!
Vinci Italia!
#Brasile2014 #Marchisio #Balotelli #Italia #ForzaAzzurri

Sunwand

giovedì 29 maggio 2014

L'amore è eterno.


Non è possibile amare e separarsi. Si vorrebbe che fosse possibile. Si può trasformare l`amore, ignorarlo, sprecarlo, ma non si può estirparlo dall'anima... L`amore è eterno.

Edward Morgan Forster

domenica 25 maggio 2014

La Marionetta - Se sapessi che oggi è l’ultima volta


Se per un istante Dio dimenticasse che sono una marionetta di stoffa e mi facesse dono di un pezzo di vita, probabilmente non direi tutto ciò che penso, ma penserei a tutto ciò che dico. 
Valuterei le cose, non per il loro valore ma per ciò che significano.
Dormirei poco e sognerei di più, essendo cosciente che per ogni minuto che teniamo gli occhi chiusi, perdiamo sessanta secondi di luce.
Andrei avanti quando gli altri si ritirano, mi sveglierei quando gli altri dormono.
Ascolterei quando gli altri parlano e con quanto piacere gusterei un buon gelato al cioccolato.
Se Dio mi desse un pezzo di vita, mi vestirei in modo semplice e, prima di tutto, butterei me stesso in fronte al sole, mettendo a nudo non solo il mio corpo, ma anche la  mia anima.
Dio mio se avessi un un cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei l'arrivo del sole. Sulle stelle dipingerei una poesia di Benedetti con un sogno di Van Gogh e una canzone di Serrat sarebbe la serenata che offrirei alla luna. Annaffierei le rose con le mie lacrime per sentire il dolore delle loro spine e il rosso bacio dei loro petali.
Dio mio se avessi un pezzo di vita, non lascerei passare un solo giorno senza dire alle persone che amo, che le amo. Direi ad ogni uomo e ad ogni donna che sono i miei prediletti e vivrei innamorato dell'amore. Mostrerei agli uomini quanto sbagliano quando pensano di smettere di innamorarsi man mano che invecchiano, non sapendo che invecchiano quando smettono di innamorarsi!
A un bambino darei le ali, ma lascerei che imparasse a volare da solo. Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia, ma con la dimenticanza.
Ho imparato così tanto da voi, Uomini... Ho imparato che ognuno vuole vivere sulla cima della montagna, senza sapere che la vera felicità sta nel come questa montagna è stata scalata.
Ho imparato che quando un neonato stringe per la prima volta il dito del padre nel suo piccolo pugno, l'ha catturato per sempre.
Ho imparato che un uomo ha il diritto di guardare dall'alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a 
rimettersi in piedi.
Da voi ho imparato così tante cose, ma in verità non saranno granché utili, perché quando mi metteranno in questa valigia, starò purtroppo per morire. Di’ sempre ciò che senti e fa’ ciò che pensi.
Se sapessi che oggi è l'ultima volta che ti guardo mentre ti addormenti, ti abbraccerei fortemente e pregherei il Signore per poter essere il guardiano della tua anima.
Se sapessi che oggi è l'ultima volta che ti vedo uscire dalla porta, ti abbraccerei, ti darei un bacio e ti chiamerei di nuovo per dartene altri.
Se sapessi che oggi è l'ultima volta che sento la tua voce, registrerei ogni tua parola per poterle ascoltare una e più volte ancora.
Se sapessi che questi sono gli ultimi minuti che ti vedo, direi "ti amo" e non darei scioccamente per scontato che già lo sai.
Sempre c'è un domani e la vita ci dà un'altra possibilità per fare le cose bene, ma se mi sbagliassi e oggi fosse tutto ciò che ci rimane, mi piacerebbe dirti quanto ti amo, che mai ti dimenticherò. 
Il domani non è assicurato per nessuno, giovane o vecchio. Oggi può essere l'ultima volta che vedi chi ami. Perciò non aspettare oltre, fallo oggi, perché se il domani non arrivasse, sicuramente rimpiangeresti il giorno che non hai avuto tempo per un sorriso, un abbraccio, un bacio e che eri troppo occupato per regalare un ultimo desiderio.
Tieni chi ami vicino a te, digli quanto bisogno hai di loro, amali e trattali bene, trova il tempo per dirgli "mi 
spiace", "perdonami", "per favore", "grazie" e tutte le parole d'amore che conosci.
Nessuno ti ricorderà per i tuoi pensieri segreti.
Chiedi al Signore la forza e la saggezza per esprimerli.
Dimostra ai tuoi amici e ai tuoi cari quanto sono importanti.

Johnny Welch

Il testo è stato erroneamente attribuito al famoso Gabriel García Márquez quando, con la falsa notizia della sua prossima morte per un cancro linfatico, iniziò a girare su internet "La Marionetta", una lettera di addio agli amici. Gabriel García Márquez stesso ha smentito la paternità dell'opera e si è incontrato con il vero autore dell' opera: Johnny Welch.

"La Marioneta" è un testo che appartiene al libro particolare, scritto in modo tale da essere letto sia da una parte che dall'altra:"Lo Que Me Ha Enseñado la Vida" (Quello che mi ha insegnato la vita), di Johnny Welch, dalla parte corretta mentre dalla quarta di copertina leggiamo"Lo Que Le He Enseñado a la Vida" (Quello che ho insegnato alla vita), a firma di Don Molfes, alterego ell'autore.

mercoledì 21 maggio 2014

Tutto il resto è una scusa.


Non esistono uomini spaventati, confusi, disillusi.
Non esistono uomini tragicamente segnati dalle passate esperienze, bisognosi d’aiuto, bisognosi di tempo. Gli uomini si dividono in due categorie soltanto: quelli che ti vogliono, e quelli che non ti vogliono. Tutto il resto è una scusa.

La verità è che non gli piaci abbastanza

sabato 17 maggio 2014

Cerco nei libri la lettera, anche solo la frase che è stata scritta per me


Cerco nei libri la lettera, anche solo la frase che è stata scritta per me e che perciò sottolineo, ricopio, estraggo e porto via. Non mi basta che il libro sia avvincente, celebrato, né che sia un classico: se non sono anch’io un pezzo dell’idiota di Dostoevskij, la mia lettura è vana. Perché il libro, anche il sacro, appartiene a chi lo legge e non per il diritto ottenuto con l’acquisto. Perché ogni lettore pretende che in un rotolo di libro ci sia qualcosa scritto su di lui.

Erri de Luca - Alzaia (1997)

mercoledì 14 maggio 2014

E le tue piccole mani e le mie ruberanno le stelle

Franco Fontana

Nella notte entreremo
a rubare
un ramo fiorito.

Passeremo il muro,
nelle tenebre del giardino altrui,
due ombre nell'ombra.

Ancora non se n’è andato l’inverno,
e il melo appare
trasformato d’improvviso
in cascata di stelle odorose.

Nella notte entreremo
fino al suo tremulo firmamento,
e le tue piccole mani e le mie
ruberanno le stelle.

E cautamente,
nella nostra casa,
nella notte e nell'ombra,
entrerà con i tuoi passi
il silenzioso passo del profumo
e con i piedi stellati
il corpo chiaro della Primavera.

Pablo Neruda

domenica 11 maggio 2014

Grazie mamma


Grazie mamma
perché mi hai dato
la tenerezza delle tue carezze,
il bacio della buona notte,
il tuo sorriso premuroso,
la dolce tua mano che mi dà sicurezza.
Hai asciugato in segreto le mie lacrime,
hai incoraggiato i miei passi,
hai corretto i miei errori,
hai protetto il mio cammino,
hai educato il mio spirito,
con saggezza e con amore
mi hai introdotto alla vita.
E mentre vegliavi con cura su di me
trovavi il tempo
per i mille lavori di casa.
Tu non hai mai pensato
di chiedere un grazie.
Grazie mamma.

Judith Bond

lunedì 5 maggio 2014

L'amore è il potere più duraturo che vi sia al mondo


Ai nostri più accaniti oppositori noi diciamo: Noi faremo fronte alla vostra capacità di infliggere sofferenze con la nostra capacità di sopportare le sofferenze; andremo incontro alla vostra forza fisica con la nostra forza d'animo. Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Noi non possiamo in buona coscienza, obbedire alle vostre leggi ingiuste, perché la non cooperazione col male è un obbligo morale non meno della cooperazione col bene. Metteteci in prigione e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli e noi vi ameremo ancora. Mandate i vostri incappucciati sicari nelle nostre case nella notte, batteteci e lasciateci mezzi morti e noi vi ameremo ancora. Ma siate sicuri che noi vi vinceremo con la nostra capacità di soffrire. Un giorno noi conquisteremo la libertà, ma non solo per noi stessi: faremo talmente appello al vostro cuore ed alla vostra coscienza che alla lunga conquisteremo voi e la nostra vittoria sarà una duplice vittoria. L'amore è il potere più duraturo che vi sia al mondo.

Martin Luther King - La forza di amare

sabato 3 maggio 2014

Io voglio, tanto spazio


Spazio spazio, io voglio, tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita:
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano,
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.

Alda Merini - Vuoto d'amore

martedì 29 aprile 2014

Donare i propri organi, perciò, è un gesto sacro


Donare i propri organi, perciò, è un gesto sacro. È trasformare la propria morte in vita per la salvezza degli altri. E, per chi ha ricevuto questo dono, è portare con sé, nel corpo e nella mente, il suo salvatore, con amore e riconoscenza.

Francesco Alberoni - Donazione degli organi, dedicato ai tanti che sono ancora incerti (Corriere della Sera, 28 agosto 2000, p.1)

domenica 27 aprile 2014

Dominus meus et deus meus - Storia di un non credente diventato apostolo


Una sera straordinaria
Scende la sera sui monti che circondano Jerusalem. È una sera straordinaria, indimenticabile. È la sera di un giorno che ha cambiato la mia vita.
Il sole ha chiuso il suo giro, oltre l'orizzonte occidentale rimangono solo i bagliori di un giorno che mai finirà nella mia mente e nel mio cuore. E sulle volte del maestoso tempio, gloria del nostro popolo e vanto di tutto Israele, splendono i riflessi di quel sole che finalmente ha rischiarato la mia vita.
Ho voluto ritirarmi qui da solo, sul monte degli Ulivi, per contemplare, in questa serata primaverile, lo spettacolo di questa Città, per lasciarmi accarezzare dalla brezza di ponente, per gustare i profumi di questa stagione che fa rinascere il dinamismo della natura.
Il cuore pulsa in modo incontrollabile, sembra voler esplodere nel petto. È un cuore che arde d'amore, è un cuore che ha vissuto troppe emozioni, in poco tempo. Eppure è un cuore che ha finalmente trovato la pace, la tanto desiderata pace.
Oggi, in questo primo giorno della settimana, sono tornato nella stanza al piano superiore, là, sul colle della città di Davide. Sono ritornato dai miei fratelli. Sono tornato ed ho incontrato Lui, il Maestro. È per questo che il cuore esplode di santa letizia. È per questo che sono nella pace.
Se pure nell'emozione del momento, provo a redigere con un briciolo di ordine le vicende incredibili della mia vita, o meglio di questo scampolo della mia esistenza, che ha radicalmente mutato il corso del mio incedere.

Torniamo agli inizi…
Sono passati pochi anni da quando, nel fiore della mia giovinezza, sentii alcune notizie circa un nuovo predicatore. Ero un giovane come tanti altri, desideroso di una vita bella e serena, arrabbiato con il potere straniero dominante, incapace di rimanere nei ranghi di una religiosità inculcata a forza e mai digerita.
Avevo bisogno di ideali nuovi, desideravo un futuro straordinario, volevo spaccare in due il mio mondo e ricostruirlo senza ingiustizie. E per far questo sarei stato disposto a compiere ogni impresa, ad agire con violenza, a rovesciare ogni istituzione. Senza accorgermi che il primo a compiere ingiustizie sarei stato proprio io.
Mi raccontarono di quello strano predicatore, un galileo, che parlava di pace, di giustizia, di amore. Denunciava i mali della società, soprattutto dei potenti. Eppure non incitava alla sommossa, neppure aveva espressioni che suggerivano atteggiamenti violenti. La vera rivoluzione, per quel tipo di messia, era la rivoluzione del cuore. Importante per lui era cambiare vita, convertirsi dal di dentro, accogliere il Regno di Dio.
Con alcuni amici andai ad ascoltare questo predicatore. Mi lasciai affascinare dall'alone mistico che promanava dalla sua figura. Parlava a bassa voce, non gridava, non si imponeva con forza; incantava, con le sue prediche, e fin dall'inizio cominciò a scontrarsi con scribi, farisei, dottori della legge ingessati nel loro ritualismo esasperante. Denunciava il male, ma non le persone. Per ogni uomo ed ogni donna, benché peccatori, egli sapeva indicare una via di rinascita.
Decisi di seguirlo: speravo che egli fosse colui che avrebbe spaccato tutto, rovesciato ogni ingiustizia, demolito le sicurezze di ricchi e potenti… Ma non era assolutamente semplice star dietro a lui. Scompariva e riappariva. Per lungo tempo si ritirò nel deserto, poi riapparve a Nazareth, in Galilea.
Quando mi riusciva di essergli vicino, durante i suoi discorsi, sentivo fluire dalle sue labbra una parola dolcissima. Sapeva toccare i cuori come nessun altro. Era esigente nella vita spirituale, era moralmente integerrimo e chiedeva radicalità nelle scelte. Eppure nessuno si sentiva da lui giudicato o condannato. Accoglieva tutti, con una predilezione tutta speciale per bambini ed ammalati.

Ho scelto te!
Un giorno, al risveglio, dopo una notte passata in ripari di fortuna, non lo vedemmo più. Era sparito. Lo cercammo nelle case, per le strade, nella sinagoga… nulla. Dopo alcune ore riapparve, il volto raggiante. Era stato tutta la notte a pregare su di un monte, da solo.
Ci radunò tutti, sulle rive del mare di Galilea, presso Cafarnao. Parlò a lungo del Regno di Dio che era giunto, dell'urgenza di convertire i cuori, dei poveri, a cui era destinato un particolare annuncio di speranza. Era sorridente e sereno, i suoi capelli ondeggiavano al vento mentre parlava a noi. Diffondeva pace e serenità con il solo sguardo. Poi si interruppe. Cominciò a guardarci negli occhi, ad interpellare il nostro cuore. Tra il gruppo dei discepoli stava scegliendo coloro che più da vicino avrebbero accompagnato il suo ministero.
Con calma rivolse il suo sguardo su noi tutti. Poi con tono mite ed imperioso ad un tempo, con sguardo deciso e rasserenante, scandì i nomi… Simone, ti chiamerai Cefa, roccia. Andrea, Giacomo, Giovanni… finché arrivò a dodici: proprio come i figli di Giacobbe, coloro che avrebbero dato il nome alle tribù di Israele. Non so se avevo capito bene… Aveva detto anche il mio nome. Ma senza dubbio pensavo che ci fosse un altro con nome uguale al mio. Un vicino mi diede una gomitata nelle costole. "Che rimani lì imbambolato a fare? Ti ha chiamato: svegliati e vai con lui!"
Io? Io chiamato dal maestro? E perché poi?
Mentre quatti quatti i chiamati uscivano dalle file uno alla volta, per poi collocarsi attorno al maestro, incrociai il suo sguardo, fermo e risoluto, dolce ed affascinante. Nei suoi occhi era impresso il messaggio. "Ho scelto te. Seguimi!"
E fu così che mi misi a seguire lui, con timore e tremore, senza mai pensare di valere qualcosa più degli altri per il fatto di essere stato scelto. Non sto qui a ripercorrere, con la memoria, tutti i momenti del cammino con quell'uomo: sarebbero davvero tanti. C'è una costante che mi ha sempre accompagnato in questi anni: il bisogno di andare al di là dell'apparenza, la necessità di vederci chiaro, l'urgenza di smascherare eventuali illusioni o trucchi del mestiere. Non ho mai ceduto a suggestioni momentanee. Non mi sono mai lasciato ingannare dal sentito dire. Non ho mai concesso alla mia mente di fidarsi di quello che tutti dicono. Io sono un realista, non un sognatore. Ho bisogno di prove certe, non di favole.

Quel giorno a Cana…
Confesso la mia perplessità quel giorno a Cana: era una delle prime uscite pubbliche del nostro gruppo. Era una festa di nozze. La madre di Gesù, con noi allo sposalizio, si accorse che le scorte di vino stavano per finire. Noi eravamo già alticci, quindi non del tutto padroni di noi stessi. Successe qualcosa di strano. Dopo uno scambio di battute tra la madre (devo dire una donna eccezionale: calma e determinata, dolce e sicura di sé, paziente ma imperiosa ) e il maestro, i servi cominciarono ad attingere dalle giare per le abluzioni. Sono pazzi, pensammo noi tutti. Giunti che furono i servi dal maestro di tavola, notammo l'espressione di costui: sorpreso e compiaciuto, come non avesse mai assaggiato qualcosa di così buono.
Sul nostro tavolo le battute si sprecavano… Finché non arrivò quell'acqua anche da noi. Ed era vino di ottima qualità. Incredibile!
Dopo che tutti gli invitati, ormai brilli, furono partiti, fingendo di dovermi intrattenere per affari con uno della casa, rimasi a controllare ed a chiedere spiegazioni ai servi. "Che scherzi sono? Ditemi il trucco!" "Nessun trucco: il tuo maestro ha fatto tutto…". Incredibile due volte! Impossibile! Eppure… è successo! Non riuscivo a spiegarmi la cosa.

Interesse e sorpresa
Cresceva di giorno in giorno il mio interesse per quell'uomo, ma anche la curiosità di conoscere i trucchi del mestiere. Infermi che camminavano, storpi che guarivano, ciechi che vedevano, grazie ad una mistura di terra e saliva del maestro… Ed io sempre dietro a lui a indagare per scoprire l'inganno. E non perché non mi fidassi di lui. Era un uomo eccezionale, tutto d'un pezzo, sicuro di sé, determinato. Sapeva amare davvero, per lui ciascun uomo o donna era importante. Ti ascoltava, ti capiva, ti donava attenzione, ti faceva sentire unico.
Ma io non riuscivo a spiegarmi i gesti che compiva. C'era sempre qualcosa che mi sfuggiva… E soprattutto non comprendevo cosa potesse succedere nel cuore delle persone che lo incontravano. I peccatori più incalliti si aprivano alla grazia di Dio.
Coloro che noi sapevamo essere intoccabili, lui li avvicinava e diventavano buoni come agnelli. Le peggiori peccatrici intraprendevano gioiosamente una strada di conversione vera. I criminali notori si
inginocchiavano e piangevano come bambini davanti a lui. E chi veniva raggiunto anche solo dalla sua ombra trovava pace nel cuore.
Anch'io stavo bene con lui. Ma non riuscivo ad accettare razionalmente queste cose. Quell'uomo era troppo strano.
Vennero i giorni dell'esaltazione.
Accolti come liberatori del popolo, facemmo il nostro ingresso trionfale nella Città Santa.
Certo, era lui ad essere acclamato: "Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"
Tutti guardavano a lui, il liberatore atteso, colui che avrebbe restaurato il Regno di Israele e cacciato i dominatori. Egli finalmente avrebbe stravolto le ingiustizie e portato la pace.
Sospinto dalla folla, acclamato con i miei condiscepoli insieme al maestro, anch'io credevo fosse giunto il momento della liberazione definitiva, della gloria, della vittoria!
Il maestro avrebbe vinto, e noi con lui!
Ma non fu così.

Il tempo della prova
Venne la sera della cena pasquale. Il maestro cominciò a rivolgersi a noi con espressioni strane. Parlava di sofferenza, di difficoltà e prove imminenti.
Poi iniziò a raccontarci della casa del Padre suo. "Vado a prepararvi un posto…" Ma cosa stai dicendo, Maestro? Dove vai? Di che casa parli? Cosa ci prepari un posto se non sappiamo neppure dov'è e come arrivare? Spiegati meglio… Non comprendiamo e non conosciamo la via per arrivare dove tu stai andando.
Il mio realismo, il mio bisogno di punti fermi e di certezze reagiva. Il maestro mi sembrava troppo sognatore, a volte.
"Io sono la via, la verità e la vita".
Fu la sua risposta, chiara e convincente, decisa ed indiscutibile. Ma fu per me ancor più nebbia di prima.
Cosa significava questo? Che strada avrei dovuto percorrere? Nessuno replicò. Nessuno chiese nulla più su questo argomento. Solo Filippo chiese a riguardo del Padre e fu soddisfatto più o meno come me. Il mio cuore fremeva e non capiva. Eppure il volto del maestro era luminoso e ispirava una fiducia mai avvertita prima. Nell'oscurità di quella notte nei suoi occhi brillava una luce nuova. Stava per essere sconfitto, eppure dai suoi occhi si capiva chi sarebbe stato il vincitore. Avrebbe perso una battaglia. Ma avrebbe vinto la guerra. Era solo questione di pazienza. Mentre lui affrontava coraggiosamente ed a viso scoperto chi era giunto per arrestarlo, poi i vari accusatori, il procuratore ed il sommo sacerdote, la folla ed i soldati, io entravo nella mia crisi personale. Sprofondavo nel mio buio esteriore ed interiore.
Tutti noi discepoli, in quella notte, ci disperdemmo, colti da un'immane paura.
Nella mia mente c'era solo il suo sguardo, luminoso e sereno, pur nell'oscurità di un plateale fallimento. Quello sguardo incredibilmente calmo e coraggioso. Lo sguardo del vincitore, di colui che sconfigge tutto e tutti con una forza incredibile e sovrumana. Lo sguardo di colui che fa nuove tutte le cose con la potenza inerme dell'amore.
Ed io ero in crisi. E per me era notte.
Non potevo accettare questo fallimento. Non ci stavo a condividere il cammino con un condannato a morte. Pochi giorni prima acclamato come liberatore, ora dichiarato reo di morte dalla medesima folla.
Incredibile. Pecore senza pastore, incapaci di cercare la verità, popolo insipido e stolto, che non sai riconoscere in quest'uomo l'unico innocente, il solo giusto!
No! Il mio maestro non poteva essere ridotto così. E quindi se quell'uomo di Nazareth era trattato in questo modo, forse non era più il mio maestro. Che senso aveva seguire questo cammino? Perché stare lì a reggere le sorti di un disgraziato? Se a lui succedeva questo, a noi suoi discepoli cosa sarebbe successo?
Basta! Era il momento di andarsene. Non aveva più senso continuare una strada del genere. Forse mi ero ingannato fin da principio. Forse non ero stato sufficientemente astuto per comprendere le arcane magie sottostanti al suo agire. Ecco, tutto qui. Un altro mediocre predicatore ed incantatore di folle. Beati quelli che ci credono. Beati ed illusi.

Tanti saluti!
Fu così che me ne andai. Da lui, dalle sue idee strampalate, dal suo annuncio di un regno che mai si realizzò, dai suoi amici. Me ne andai, perché ormai tutto mi stava stretto.
Un maestro sconfitto, un ideale di vita perdente, un amore per i peccatori e per tutti i disgraziati di questa terra… Tutto questo era troppo. Gli ultimi saranno i primi… Si, certo, i primi ad allontanarsi da te e dalle tue fantasie!
Mi dispiace, uomo di Nazareth. Mi sembravi un tipo interessante. Promettevi bene. Eppure mi hai illuso, semplicemente illuso.
Non mi hai fatto nulla di male, s'intende. Ma non hai dato risposta alle attese del mio cuore. Hai detto di essere la via, la verità, la vita… Beh, la via è quella che porta al luogo delle esecuzioni capitali. La verità è che ti hanno condannato come il peggiore dei criminali. La vita la sputerai tra atroci tormenti da quel patibolo che ti hanno caricato addosso.
Me ne andai anche dagli altri compagni discepoli. Troppo chiusi di mente, disposti a credere a qualunque fantasia, inetti e insignificanti, litigiosi e incostanti, sognatori e poco realisti.
Ciao, Cefa, uomo generoso ma duro di testa.
Ciao Levi, torna pure a fare l'esattore delle tasse ed a sollazzarti con dolci fanciulle.
Ciao Nataneale, torna a Cana, magari è rimasto un po' di buon vino e così capisci cosa di buono può venire da Nazareth.
Ciao Giacomo e Giovanni, spero che presto riusciate a capire starà a destra o alla sinistra di quel Maestro: guardate lassù, sul Golgotha…
Ciao a tutti voi, grazie della compagnia, ma non mi piacete più. Siete troppo ottusi e fuori moda. Siete una comunità chiusa e retrograda.
Io voglio essere libero. La mia vita continua altrove; la mi strada troverà altri sbocchi. È stata una bella avventura, ma è finta male. Peccato. Ora si gira pagina.
Così scrissi quella che credevo essere l'ultima pagina della mia avventura con il maestro e con la sua comitiva di illusi.
Non so quale oscura forza mi trattenne in città.
Avevo progettato di partire la sera, appena calato il sole dello Shabbat, quando si poteva rimettersi in movimento. Trovai vecchi amici in una locanda, presso le mura della città.
Mi fermai con loro, intrattenendoci con giochi e abbondanti sorsi di vino. Visto che ero di buona presenza, l'oste mi chiese se potevo fermarmi da lui per qualche giorno, in modo da aiutarlo in quei giorni di festa, nei quali molta gente era in giro per la città. Accettai.

Il primo giorno della settimana
Il giorno seguente, il primo della settimana, fui svegliato da strepito di donne e di povera gente.
Si vociava a riguardo del maestro. Asserivano che la tomba fosse stata violata. Il corpo era scomparso.
Io cercavo di carpire informazioni, senza peraltro farmi notare interessato: le guardie dei romani erano ancora alla ricerca dei compagni di quel rivoluzionario giustiziato.
Avevo scelto di andarmene. Sarei rimasto fuori dalla vicenda: ormai non mi riguardava più.
Presi a svolgere con decisione gli incarichi che mi erano affidati. Sorridevo a tutti, accoglievo coloro che sostavano presso la nostra locanda, li servivo con gentilezza e spesso li intrattenevo con qualche battuta.
Ma il mio cuore era in tumulto. Cos'era successo? Perché la tomba vuota? Qualcosa mi diceva che la storia non era finita assolutamente, anzi, forse la storia era solo agli inizi. Non volevo ascoltare il mio cuore, non davo retta alle voci che dal mio interno mi turbavano ed ai ricordi del maestro e delle sue parole che riaffioravano in me.
Era tutto finito. È stata solo una brutta storia. Eppure il mio cuore era inquieto.
Dove sei, maestro? Quale via decisamente nuova hai imboccato? Quale verità si cela dietro il segno di quel sepolcro vuoto? Quale vita si può sperare ancora? Tu sei solo un morto, come tanti. Eppure non mi lasci tranquillo! Perché?

"Abbiamo visto il Signore!"
Non credevo ai miei occhi. Cefa, Giovanni e Giacomo mi avevano raggiunto. Come mi avessero trovato, in quel dedalo di viuzze cittadine, proprio non saprei dire. Sembravano condotti da una forza misteriosa.
"I signori gradiscono un po' di vino?" "No fratello, non vogliamo tuoi servizi. Desideriamo riavere te fra noi. Siamo venuti a dirti la verità che cambierà le sorti del mondo! Il maestro è vivo! Il sepolcro è vuoto perché lui è risorto, è ritornato dalle strade della morte! Non ti raccontiamo fantasie: noi lo abbiamo incontrato! Lo abbiamo visto! Abbiamo mangiato con lui… È vivo!"
"Signori calmatevi. Io non sono vostro fratello e non vi conosco. Se non prendete nulla, togliete il disturbo…"
"Tommaso: devi venire con noi. Devi credere a quello che il Signore ci aveva detto. Ora egli è vivo!"
"Andate… se non vedo i segni dei chiodi e se non metto le mie dita in quei segni e se non tocco il suo costato trafitto dalla lancia, io non crederò mai!"
Questa fu la fine del discorso. Pietro, Giacomo e Giovanni rimasero a lungo immobili, a fissarmi mentre servivo altri clienti. Mi osservavano in silenzio. I loro sguardi erano raggianti e sereni. Nei loro occhi c'era una scintilla luminosa mai vista. Irradiavano pace e letizia.
Ma io non andai con loro. Il cuore e la mente erano terribilmente confusi.
"Abbiamo visto il Signore" Ma chi ci può credere? Io di certo no.

Dove sei Signore?
Trascorsero i giorni. Arrivò di nuovo la vigilia dello Shabbat. Mi recai di nascosto, con il favore delle tenebre, nel luogo dove il Maestro era stato crocifisso.
Mi prostrai a terra, mentre il buio cominciava ad avvolgere di mistero ogni cosa.
Quella terra, sulla quale era stata issata la croce, era ancora impregnata del suo sangue. Sembrava profumare. Era il profumo dell'amore vero, di un amore arrivato fino al dono totale. Piansi a lungo, su quella già umida terra. Pensai a lui, al Maestro.
"Dove sei. Signore? Io ho creduto in te, ti ho amato, ti ho seguito con passione. Speravo che tu fossi il Salvatore. Mi attendevo tanto da te. Eppure tu sei morto, sei fallito, hai concluso la tua parabola terrena… Ma questa terra, irrorata del tuo sangue… questo profumo… Qui non c'è odore di morte, questo è il profumo dell'amore vero.
Perché questa inquietudine che mi corrode! Se morto si, ma perché ora non sto in pace? Perché il mio intimo mi tormenta! C'è un fuoco nel mio cuore che mi devasta! Gesù di Nazareth, dove sei adesso? Perché mi tormenti se sei morto? Perché non mi parli?".
Rimasi a lungo solo, a pensare, a meditare, a ricordare. Finché la stanchezza ebbe il sopravvento e così, sfinito e spossato, mi abbandonai ad un profondo sonno ristoratore.

Bentornato Tommaso!
Passato lo Shabbat, il primo giorno della settimana (per capirci: questa mattina), mi recai nel luogo dov'erano gli altri: era la stanza al piano superiore, presso la rocca di Davide, dove avevamo consumato la cena pasquale. Bussai forte. Esitarono un po' ad aprire. Vista la mia insistenza, una voce dall'interno chiese informazioni.
"Sono Tommaso, vostro fratello", gridai.
La porta si spalancò. Fui sommerso dagli abbracci di tutti i dieci compagni. Le lacrime cominciarono a fluire copiose dai miei occhi.
"Mi siete mancati, fratelli. Grazie perché mi avete cercato, non mi avete lasciato errare per strade insicure…"
"Bentornato Tommaso! Siamo contenti che tu sia qui! Grazie Signore!"
"Ehm, fratelli, devo dirvi una cosa però. Sono contento di rivedervi, ma lasciamo stare le fantasie. Parliamo di cose serie e di come hanno portato via il corpo del maestro"
"Tommaso: Gesù è vivo!"
Cominciarono a raccontare, uno dopo l'altro, sovrapponendosi nel parlare, ripetendo più e più volte gli stessi argomenti ed i medesimi racconti. Ciascuno, a suo modo, dava relazione dell'incontro con il maestro, ritornato dalle strade della morte.
"Fratelli, lasciatemi stare. Non credo e basta".
Ci mettemmo a tavola a mangiare, non senza ringraziare il buon Dio del cibo e di averci fatti ritrovare insieme. Nessuno si accorse di nulla. Mentre eravamo intenti a rosicchiare le ossa di un agnellino arrostito, casualmente alzai lo sguardo. Era lì, nel mezzo della sala. Era lui, proprio lui. Ed il suo sguardo era uguale a quello del primo giorno, là presso il mare di Galilea, quando pronunciò il mio nome e mi chiamò.
"Tommaso, tocca con le tue mani queste mie ferite. Stendi la tua mano e mettila nel mio costato. Non essere più incredulo…"
Tutto intorno era calato il silenzio; nessun rumore più si avvertiva. Gli altri sembravano dissolti nel nulla. Solo io e lui, con gli sguardi penetrati uno nell'altro. Solo io e lui, con un flusso di amore immenso che scaturiva dai suoi occhi e penetrava nel mio intimo. Non so quanto tempo siamo rimasti così. Ero rapito in estasi. SI avvicinò lui. Stese le mani, recanti il segno della crocifissione. Scostò la veste e mise in evidenza la ferita della lancia nel costato.
Le mie mani, come pilotate da una forza spirituale, accarezzarono quel corpo risorto eppure reale, toccarono quei segni di morte, diventati segni di una vita che prorompe insperata.
"Dominus meus et Deus meus!
Sei proprio tu, Gesù di Nazareth.
Sei morto, eppure ora sei qui, vivo…
Tu sei il mio Signore ed il mio Dio!"

Dominus meus et Deus meus!
Ed ora eccomi qui, su questo glorioso monte degli Ulivi, a contemplare gli ultimi riflessi di questa giornata unica ed indimenticabile. Le mie mani profumano ancora. Le annuso a risento la fragranza di quel corpo glorioso, riassaporo la bellezza della vita che trionfa, riavverto la potenza inerme dell'amore che ha vinto la battaglia decisiva.
Sì, l'amore ha avuto l'ultima parola. La vita ha vinto. Colui che ha amato fino alla fine ha aperto la strada che conduce alla vita vera. "Io sono la via, la verità, la vita".
Vorrei da questo monte abbracciare il mondo intero.
Vorrei giungere ad ogni uomo ed ogni donna, per annunciare la novità che sconvolge il mondo e che io ho toccato con mano. Colui che è stato crocifisso è ora vivo!
Vorrei annunciare la sua Pasqua a chi non crede…
A chi cerca segni esteriori
A chi ha abbandonato la fede
A chi è nella prova
A chi ha abbandonato la comunità cristiana
A chi crede solo superficialmente
A chi si sente sconfitto dalla vita
A chi è solo
Signore Gesù, io credo in te!
Signore Gesù, ti amo con tutto il mio cuore.
Conducimi dove vuoi, ti seguirò.
Concedimi di amare fino alla fine, anche fino all'effusione del sangue, come hai fatto tu.
Per me ormai il vivere sei tu, Maestro mio, Cristo.

Tommaso,
un non credente divenuto apostolo

don Andrea Ronconi, parroco

sabato 26 aprile 2014

Scritto sulla sabbia


Che il bello e l'incantevole
Siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d'artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d'oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
- effimeri-, non raggiungono il fondo dell'anima.
No, il bello più profondo e degno dell'amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d'aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.

Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.

Hermann Hesse - La felicità, versi e pensieri
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