martedì 29 aprile 2014

Donare i propri organi, perciò, è un gesto sacro


Donare i propri organi, perciò, è un gesto sacro. È trasformare la propria morte in vita per la salvezza degli altri. E, per chi ha ricevuto questo dono, è portare con sé, nel corpo e nella mente, il suo salvatore, con amore e riconoscenza.

Francesco Alberoni - Donazione degli organi, dedicato ai tanti che sono ancora incerti (Corriere della Sera, 28 agosto 2000, p.1)

domenica 27 aprile 2014

Dominus meus et deus meus - Storia di un non credente diventato apostolo


Una sera straordinaria
Scende la sera sui monti che circondano Jerusalem. È una sera straordinaria, indimenticabile. È la sera di un giorno che ha cambiato la mia vita.
Il sole ha chiuso il suo giro, oltre l'orizzonte occidentale rimangono solo i bagliori di un giorno che mai finirà nella mia mente e nel mio cuore. E sulle volte del maestoso tempio, gloria del nostro popolo e vanto di tutto Israele, splendono i riflessi di quel sole che finalmente ha rischiarato la mia vita.
Ho voluto ritirarmi qui da solo, sul monte degli Ulivi, per contemplare, in questa serata primaverile, lo spettacolo di questa Città, per lasciarmi accarezzare dalla brezza di ponente, per gustare i profumi di questa stagione che fa rinascere il dinamismo della natura.
Il cuore pulsa in modo incontrollabile, sembra voler esplodere nel petto. È un cuore che arde d'amore, è un cuore che ha vissuto troppe emozioni, in poco tempo. Eppure è un cuore che ha finalmente trovato la pace, la tanto desiderata pace.
Oggi, in questo primo giorno della settimana, sono tornato nella stanza al piano superiore, là, sul colle della città di Davide. Sono ritornato dai miei fratelli. Sono tornato ed ho incontrato Lui, il Maestro. È per questo che il cuore esplode di santa letizia. È per questo che sono nella pace.
Se pure nell'emozione del momento, provo a redigere con un briciolo di ordine le vicende incredibili della mia vita, o meglio di questo scampolo della mia esistenza, che ha radicalmente mutato il corso del mio incedere.

Torniamo agli inizi…
Sono passati pochi anni da quando, nel fiore della mia giovinezza, sentii alcune notizie circa un nuovo predicatore. Ero un giovane come tanti altri, desideroso di una vita bella e serena, arrabbiato con il potere straniero dominante, incapace di rimanere nei ranghi di una religiosità inculcata a forza e mai digerita.
Avevo bisogno di ideali nuovi, desideravo un futuro straordinario, volevo spaccare in due il mio mondo e ricostruirlo senza ingiustizie. E per far questo sarei stato disposto a compiere ogni impresa, ad agire con violenza, a rovesciare ogni istituzione. Senza accorgermi che il primo a compiere ingiustizie sarei stato proprio io.
Mi raccontarono di quello strano predicatore, un galileo, che parlava di pace, di giustizia, di amore. Denunciava i mali della società, soprattutto dei potenti. Eppure non incitava alla sommossa, neppure aveva espressioni che suggerivano atteggiamenti violenti. La vera rivoluzione, per quel tipo di messia, era la rivoluzione del cuore. Importante per lui era cambiare vita, convertirsi dal di dentro, accogliere il Regno di Dio.
Con alcuni amici andai ad ascoltare questo predicatore. Mi lasciai affascinare dall'alone mistico che promanava dalla sua figura. Parlava a bassa voce, non gridava, non si imponeva con forza; incantava, con le sue prediche, e fin dall'inizio cominciò a scontrarsi con scribi, farisei, dottori della legge ingessati nel loro ritualismo esasperante. Denunciava il male, ma non le persone. Per ogni uomo ed ogni donna, benché peccatori, egli sapeva indicare una via di rinascita.
Decisi di seguirlo: speravo che egli fosse colui che avrebbe spaccato tutto, rovesciato ogni ingiustizia, demolito le sicurezze di ricchi e potenti… Ma non era assolutamente semplice star dietro a lui. Scompariva e riappariva. Per lungo tempo si ritirò nel deserto, poi riapparve a Nazareth, in Galilea.
Quando mi riusciva di essergli vicino, durante i suoi discorsi, sentivo fluire dalle sue labbra una parola dolcissima. Sapeva toccare i cuori come nessun altro. Era esigente nella vita spirituale, era moralmente integerrimo e chiedeva radicalità nelle scelte. Eppure nessuno si sentiva da lui giudicato o condannato. Accoglieva tutti, con una predilezione tutta speciale per bambini ed ammalati.

Ho scelto te!
Un giorno, al risveglio, dopo una notte passata in ripari di fortuna, non lo vedemmo più. Era sparito. Lo cercammo nelle case, per le strade, nella sinagoga… nulla. Dopo alcune ore riapparve, il volto raggiante. Era stato tutta la notte a pregare su di un monte, da solo.
Ci radunò tutti, sulle rive del mare di Galilea, presso Cafarnao. Parlò a lungo del Regno di Dio che era giunto, dell'urgenza di convertire i cuori, dei poveri, a cui era destinato un particolare annuncio di speranza. Era sorridente e sereno, i suoi capelli ondeggiavano al vento mentre parlava a noi. Diffondeva pace e serenità con il solo sguardo. Poi si interruppe. Cominciò a guardarci negli occhi, ad interpellare il nostro cuore. Tra il gruppo dei discepoli stava scegliendo coloro che più da vicino avrebbero accompagnato il suo ministero.
Con calma rivolse il suo sguardo su noi tutti. Poi con tono mite ed imperioso ad un tempo, con sguardo deciso e rasserenante, scandì i nomi… Simone, ti chiamerai Cefa, roccia. Andrea, Giacomo, Giovanni… finché arrivò a dodici: proprio come i figli di Giacobbe, coloro che avrebbero dato il nome alle tribù di Israele. Non so se avevo capito bene… Aveva detto anche il mio nome. Ma senza dubbio pensavo che ci fosse un altro con nome uguale al mio. Un vicino mi diede una gomitata nelle costole. "Che rimani lì imbambolato a fare? Ti ha chiamato: svegliati e vai con lui!"
Io? Io chiamato dal maestro? E perché poi?
Mentre quatti quatti i chiamati uscivano dalle file uno alla volta, per poi collocarsi attorno al maestro, incrociai il suo sguardo, fermo e risoluto, dolce ed affascinante. Nei suoi occhi era impresso il messaggio. "Ho scelto te. Seguimi!"
E fu così che mi misi a seguire lui, con timore e tremore, senza mai pensare di valere qualcosa più degli altri per il fatto di essere stato scelto. Non sto qui a ripercorrere, con la memoria, tutti i momenti del cammino con quell'uomo: sarebbero davvero tanti. C'è una costante che mi ha sempre accompagnato in questi anni: il bisogno di andare al di là dell'apparenza, la necessità di vederci chiaro, l'urgenza di smascherare eventuali illusioni o trucchi del mestiere. Non ho mai ceduto a suggestioni momentanee. Non mi sono mai lasciato ingannare dal sentito dire. Non ho mai concesso alla mia mente di fidarsi di quello che tutti dicono. Io sono un realista, non un sognatore. Ho bisogno di prove certe, non di favole.

Quel giorno a Cana…
Confesso la mia perplessità quel giorno a Cana: era una delle prime uscite pubbliche del nostro gruppo. Era una festa di nozze. La madre di Gesù, con noi allo sposalizio, si accorse che le scorte di vino stavano per finire. Noi eravamo già alticci, quindi non del tutto padroni di noi stessi. Successe qualcosa di strano. Dopo uno scambio di battute tra la madre (devo dire una donna eccezionale: calma e determinata, dolce e sicura di sé, paziente ma imperiosa ) e il maestro, i servi cominciarono ad attingere dalle giare per le abluzioni. Sono pazzi, pensammo noi tutti. Giunti che furono i servi dal maestro di tavola, notammo l'espressione di costui: sorpreso e compiaciuto, come non avesse mai assaggiato qualcosa di così buono.
Sul nostro tavolo le battute si sprecavano… Finché non arrivò quell'acqua anche da noi. Ed era vino di ottima qualità. Incredibile!
Dopo che tutti gli invitati, ormai brilli, furono partiti, fingendo di dovermi intrattenere per affari con uno della casa, rimasi a controllare ed a chiedere spiegazioni ai servi. "Che scherzi sono? Ditemi il trucco!" "Nessun trucco: il tuo maestro ha fatto tutto…". Incredibile due volte! Impossibile! Eppure… è successo! Non riuscivo a spiegarmi la cosa.

Interesse e sorpresa
Cresceva di giorno in giorno il mio interesse per quell'uomo, ma anche la curiosità di conoscere i trucchi del mestiere. Infermi che camminavano, storpi che guarivano, ciechi che vedevano, grazie ad una mistura di terra e saliva del maestro… Ed io sempre dietro a lui a indagare per scoprire l'inganno. E non perché non mi fidassi di lui. Era un uomo eccezionale, tutto d'un pezzo, sicuro di sé, determinato. Sapeva amare davvero, per lui ciascun uomo o donna era importante. Ti ascoltava, ti capiva, ti donava attenzione, ti faceva sentire unico.
Ma io non riuscivo a spiegarmi i gesti che compiva. C'era sempre qualcosa che mi sfuggiva… E soprattutto non comprendevo cosa potesse succedere nel cuore delle persone che lo incontravano. I peccatori più incalliti si aprivano alla grazia di Dio.
Coloro che noi sapevamo essere intoccabili, lui li avvicinava e diventavano buoni come agnelli. Le peggiori peccatrici intraprendevano gioiosamente una strada di conversione vera. I criminali notori si
inginocchiavano e piangevano come bambini davanti a lui. E chi veniva raggiunto anche solo dalla sua ombra trovava pace nel cuore.
Anch'io stavo bene con lui. Ma non riuscivo ad accettare razionalmente queste cose. Quell'uomo era troppo strano.
Vennero i giorni dell'esaltazione.
Accolti come liberatori del popolo, facemmo il nostro ingresso trionfale nella Città Santa.
Certo, era lui ad essere acclamato: "Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"
Tutti guardavano a lui, il liberatore atteso, colui che avrebbe restaurato il Regno di Israele e cacciato i dominatori. Egli finalmente avrebbe stravolto le ingiustizie e portato la pace.
Sospinto dalla folla, acclamato con i miei condiscepoli insieme al maestro, anch'io credevo fosse giunto il momento della liberazione definitiva, della gloria, della vittoria!
Il maestro avrebbe vinto, e noi con lui!
Ma non fu così.

Il tempo della prova
Venne la sera della cena pasquale. Il maestro cominciò a rivolgersi a noi con espressioni strane. Parlava di sofferenza, di difficoltà e prove imminenti.
Poi iniziò a raccontarci della casa del Padre suo. "Vado a prepararvi un posto…" Ma cosa stai dicendo, Maestro? Dove vai? Di che casa parli? Cosa ci prepari un posto se non sappiamo neppure dov'è e come arrivare? Spiegati meglio… Non comprendiamo e non conosciamo la via per arrivare dove tu stai andando.
Il mio realismo, il mio bisogno di punti fermi e di certezze reagiva. Il maestro mi sembrava troppo sognatore, a volte.
"Io sono la via, la verità e la vita".
Fu la sua risposta, chiara e convincente, decisa ed indiscutibile. Ma fu per me ancor più nebbia di prima.
Cosa significava questo? Che strada avrei dovuto percorrere? Nessuno replicò. Nessuno chiese nulla più su questo argomento. Solo Filippo chiese a riguardo del Padre e fu soddisfatto più o meno come me. Il mio cuore fremeva e non capiva. Eppure il volto del maestro era luminoso e ispirava una fiducia mai avvertita prima. Nell'oscurità di quella notte nei suoi occhi brillava una luce nuova. Stava per essere sconfitto, eppure dai suoi occhi si capiva chi sarebbe stato il vincitore. Avrebbe perso una battaglia. Ma avrebbe vinto la guerra. Era solo questione di pazienza. Mentre lui affrontava coraggiosamente ed a viso scoperto chi era giunto per arrestarlo, poi i vari accusatori, il procuratore ed il sommo sacerdote, la folla ed i soldati, io entravo nella mia crisi personale. Sprofondavo nel mio buio esteriore ed interiore.
Tutti noi discepoli, in quella notte, ci disperdemmo, colti da un'immane paura.
Nella mia mente c'era solo il suo sguardo, luminoso e sereno, pur nell'oscurità di un plateale fallimento. Quello sguardo incredibilmente calmo e coraggioso. Lo sguardo del vincitore, di colui che sconfigge tutto e tutti con una forza incredibile e sovrumana. Lo sguardo di colui che fa nuove tutte le cose con la potenza inerme dell'amore.
Ed io ero in crisi. E per me era notte.
Non potevo accettare questo fallimento. Non ci stavo a condividere il cammino con un condannato a morte. Pochi giorni prima acclamato come liberatore, ora dichiarato reo di morte dalla medesima folla.
Incredibile. Pecore senza pastore, incapaci di cercare la verità, popolo insipido e stolto, che non sai riconoscere in quest'uomo l'unico innocente, il solo giusto!
No! Il mio maestro non poteva essere ridotto così. E quindi se quell'uomo di Nazareth era trattato in questo modo, forse non era più il mio maestro. Che senso aveva seguire questo cammino? Perché stare lì a reggere le sorti di un disgraziato? Se a lui succedeva questo, a noi suoi discepoli cosa sarebbe successo?
Basta! Era il momento di andarsene. Non aveva più senso continuare una strada del genere. Forse mi ero ingannato fin da principio. Forse non ero stato sufficientemente astuto per comprendere le arcane magie sottostanti al suo agire. Ecco, tutto qui. Un altro mediocre predicatore ed incantatore di folle. Beati quelli che ci credono. Beati ed illusi.

Tanti saluti!
Fu così che me ne andai. Da lui, dalle sue idee strampalate, dal suo annuncio di un regno che mai si realizzò, dai suoi amici. Me ne andai, perché ormai tutto mi stava stretto.
Un maestro sconfitto, un ideale di vita perdente, un amore per i peccatori e per tutti i disgraziati di questa terra… Tutto questo era troppo. Gli ultimi saranno i primi… Si, certo, i primi ad allontanarsi da te e dalle tue fantasie!
Mi dispiace, uomo di Nazareth. Mi sembravi un tipo interessante. Promettevi bene. Eppure mi hai illuso, semplicemente illuso.
Non mi hai fatto nulla di male, s'intende. Ma non hai dato risposta alle attese del mio cuore. Hai detto di essere la via, la verità, la vita… Beh, la via è quella che porta al luogo delle esecuzioni capitali. La verità è che ti hanno condannato come il peggiore dei criminali. La vita la sputerai tra atroci tormenti da quel patibolo che ti hanno caricato addosso.
Me ne andai anche dagli altri compagni discepoli. Troppo chiusi di mente, disposti a credere a qualunque fantasia, inetti e insignificanti, litigiosi e incostanti, sognatori e poco realisti.
Ciao, Cefa, uomo generoso ma duro di testa.
Ciao Levi, torna pure a fare l'esattore delle tasse ed a sollazzarti con dolci fanciulle.
Ciao Nataneale, torna a Cana, magari è rimasto un po' di buon vino e così capisci cosa di buono può venire da Nazareth.
Ciao Giacomo e Giovanni, spero che presto riusciate a capire starà a destra o alla sinistra di quel Maestro: guardate lassù, sul Golgotha…
Ciao a tutti voi, grazie della compagnia, ma non mi piacete più. Siete troppo ottusi e fuori moda. Siete una comunità chiusa e retrograda.
Io voglio essere libero. La mia vita continua altrove; la mi strada troverà altri sbocchi. È stata una bella avventura, ma è finta male. Peccato. Ora si gira pagina.
Così scrissi quella che credevo essere l'ultima pagina della mia avventura con il maestro e con la sua comitiva di illusi.
Non so quale oscura forza mi trattenne in città.
Avevo progettato di partire la sera, appena calato il sole dello Shabbat, quando si poteva rimettersi in movimento. Trovai vecchi amici in una locanda, presso le mura della città.
Mi fermai con loro, intrattenendoci con giochi e abbondanti sorsi di vino. Visto che ero di buona presenza, l'oste mi chiese se potevo fermarmi da lui per qualche giorno, in modo da aiutarlo in quei giorni di festa, nei quali molta gente era in giro per la città. Accettai.

Il primo giorno della settimana
Il giorno seguente, il primo della settimana, fui svegliato da strepito di donne e di povera gente.
Si vociava a riguardo del maestro. Asserivano che la tomba fosse stata violata. Il corpo era scomparso.
Io cercavo di carpire informazioni, senza peraltro farmi notare interessato: le guardie dei romani erano ancora alla ricerca dei compagni di quel rivoluzionario giustiziato.
Avevo scelto di andarmene. Sarei rimasto fuori dalla vicenda: ormai non mi riguardava più.
Presi a svolgere con decisione gli incarichi che mi erano affidati. Sorridevo a tutti, accoglievo coloro che sostavano presso la nostra locanda, li servivo con gentilezza e spesso li intrattenevo con qualche battuta.
Ma il mio cuore era in tumulto. Cos'era successo? Perché la tomba vuota? Qualcosa mi diceva che la storia non era finita assolutamente, anzi, forse la storia era solo agli inizi. Non volevo ascoltare il mio cuore, non davo retta alle voci che dal mio interno mi turbavano ed ai ricordi del maestro e delle sue parole che riaffioravano in me.
Era tutto finito. È stata solo una brutta storia. Eppure il mio cuore era inquieto.
Dove sei, maestro? Quale via decisamente nuova hai imboccato? Quale verità si cela dietro il segno di quel sepolcro vuoto? Quale vita si può sperare ancora? Tu sei solo un morto, come tanti. Eppure non mi lasci tranquillo! Perché?

"Abbiamo visto il Signore!"
Non credevo ai miei occhi. Cefa, Giovanni e Giacomo mi avevano raggiunto. Come mi avessero trovato, in quel dedalo di viuzze cittadine, proprio non saprei dire. Sembravano condotti da una forza misteriosa.
"I signori gradiscono un po' di vino?" "No fratello, non vogliamo tuoi servizi. Desideriamo riavere te fra noi. Siamo venuti a dirti la verità che cambierà le sorti del mondo! Il maestro è vivo! Il sepolcro è vuoto perché lui è risorto, è ritornato dalle strade della morte! Non ti raccontiamo fantasie: noi lo abbiamo incontrato! Lo abbiamo visto! Abbiamo mangiato con lui… È vivo!"
"Signori calmatevi. Io non sono vostro fratello e non vi conosco. Se non prendete nulla, togliete il disturbo…"
"Tommaso: devi venire con noi. Devi credere a quello che il Signore ci aveva detto. Ora egli è vivo!"
"Andate… se non vedo i segni dei chiodi e se non metto le mie dita in quei segni e se non tocco il suo costato trafitto dalla lancia, io non crederò mai!"
Questa fu la fine del discorso. Pietro, Giacomo e Giovanni rimasero a lungo immobili, a fissarmi mentre servivo altri clienti. Mi osservavano in silenzio. I loro sguardi erano raggianti e sereni. Nei loro occhi c'era una scintilla luminosa mai vista. Irradiavano pace e letizia.
Ma io non andai con loro. Il cuore e la mente erano terribilmente confusi.
"Abbiamo visto il Signore" Ma chi ci può credere? Io di certo no.

Dove sei Signore?
Trascorsero i giorni. Arrivò di nuovo la vigilia dello Shabbat. Mi recai di nascosto, con il favore delle tenebre, nel luogo dove il Maestro era stato crocifisso.
Mi prostrai a terra, mentre il buio cominciava ad avvolgere di mistero ogni cosa.
Quella terra, sulla quale era stata issata la croce, era ancora impregnata del suo sangue. Sembrava profumare. Era il profumo dell'amore vero, di un amore arrivato fino al dono totale. Piansi a lungo, su quella già umida terra. Pensai a lui, al Maestro.
"Dove sei. Signore? Io ho creduto in te, ti ho amato, ti ho seguito con passione. Speravo che tu fossi il Salvatore. Mi attendevo tanto da te. Eppure tu sei morto, sei fallito, hai concluso la tua parabola terrena… Ma questa terra, irrorata del tuo sangue… questo profumo… Qui non c'è odore di morte, questo è il profumo dell'amore vero.
Perché questa inquietudine che mi corrode! Se morto si, ma perché ora non sto in pace? Perché il mio intimo mi tormenta! C'è un fuoco nel mio cuore che mi devasta! Gesù di Nazareth, dove sei adesso? Perché mi tormenti se sei morto? Perché non mi parli?".
Rimasi a lungo solo, a pensare, a meditare, a ricordare. Finché la stanchezza ebbe il sopravvento e così, sfinito e spossato, mi abbandonai ad un profondo sonno ristoratore.

Bentornato Tommaso!
Passato lo Shabbat, il primo giorno della settimana (per capirci: questa mattina), mi recai nel luogo dov'erano gli altri: era la stanza al piano superiore, presso la rocca di Davide, dove avevamo consumato la cena pasquale. Bussai forte. Esitarono un po' ad aprire. Vista la mia insistenza, una voce dall'interno chiese informazioni.
"Sono Tommaso, vostro fratello", gridai.
La porta si spalancò. Fui sommerso dagli abbracci di tutti i dieci compagni. Le lacrime cominciarono a fluire copiose dai miei occhi.
"Mi siete mancati, fratelli. Grazie perché mi avete cercato, non mi avete lasciato errare per strade insicure…"
"Bentornato Tommaso! Siamo contenti che tu sia qui! Grazie Signore!"
"Ehm, fratelli, devo dirvi una cosa però. Sono contento di rivedervi, ma lasciamo stare le fantasie. Parliamo di cose serie e di come hanno portato via il corpo del maestro"
"Tommaso: Gesù è vivo!"
Cominciarono a raccontare, uno dopo l'altro, sovrapponendosi nel parlare, ripetendo più e più volte gli stessi argomenti ed i medesimi racconti. Ciascuno, a suo modo, dava relazione dell'incontro con il maestro, ritornato dalle strade della morte.
"Fratelli, lasciatemi stare. Non credo e basta".
Ci mettemmo a tavola a mangiare, non senza ringraziare il buon Dio del cibo e di averci fatti ritrovare insieme. Nessuno si accorse di nulla. Mentre eravamo intenti a rosicchiare le ossa di un agnellino arrostito, casualmente alzai lo sguardo. Era lì, nel mezzo della sala. Era lui, proprio lui. Ed il suo sguardo era uguale a quello del primo giorno, là presso il mare di Galilea, quando pronunciò il mio nome e mi chiamò.
"Tommaso, tocca con le tue mani queste mie ferite. Stendi la tua mano e mettila nel mio costato. Non essere più incredulo…"
Tutto intorno era calato il silenzio; nessun rumore più si avvertiva. Gli altri sembravano dissolti nel nulla. Solo io e lui, con gli sguardi penetrati uno nell'altro. Solo io e lui, con un flusso di amore immenso che scaturiva dai suoi occhi e penetrava nel mio intimo. Non so quanto tempo siamo rimasti così. Ero rapito in estasi. SI avvicinò lui. Stese le mani, recanti il segno della crocifissione. Scostò la veste e mise in evidenza la ferita della lancia nel costato.
Le mie mani, come pilotate da una forza spirituale, accarezzarono quel corpo risorto eppure reale, toccarono quei segni di morte, diventati segni di una vita che prorompe insperata.
"Dominus meus et Deus meus!
Sei proprio tu, Gesù di Nazareth.
Sei morto, eppure ora sei qui, vivo…
Tu sei il mio Signore ed il mio Dio!"

Dominus meus et Deus meus!
Ed ora eccomi qui, su questo glorioso monte degli Ulivi, a contemplare gli ultimi riflessi di questa giornata unica ed indimenticabile. Le mie mani profumano ancora. Le annuso a risento la fragranza di quel corpo glorioso, riassaporo la bellezza della vita che trionfa, riavverto la potenza inerme dell'amore che ha vinto la battaglia decisiva.
Sì, l'amore ha avuto l'ultima parola. La vita ha vinto. Colui che ha amato fino alla fine ha aperto la strada che conduce alla vita vera. "Io sono la via, la verità, la vita".
Vorrei da questo monte abbracciare il mondo intero.
Vorrei giungere ad ogni uomo ed ogni donna, per annunciare la novità che sconvolge il mondo e che io ho toccato con mano. Colui che è stato crocifisso è ora vivo!
Vorrei annunciare la sua Pasqua a chi non crede…
A chi cerca segni esteriori
A chi ha abbandonato la fede
A chi è nella prova
A chi ha abbandonato la comunità cristiana
A chi crede solo superficialmente
A chi si sente sconfitto dalla vita
A chi è solo
Signore Gesù, io credo in te!
Signore Gesù, ti amo con tutto il mio cuore.
Conducimi dove vuoi, ti seguirò.
Concedimi di amare fino alla fine, anche fino all'effusione del sangue, come hai fatto tu.
Per me ormai il vivere sei tu, Maestro mio, Cristo.

Tommaso,
un non credente divenuto apostolo

don Andrea Ronconi, parroco

sabato 26 aprile 2014

Scritto sulla sabbia


Che il bello e l'incantevole
Siano solo un soffio e un brivido,
che il magnifico entusiasmante
amabile non duri:
nube, fiore, bolla di sapone,
fuoco d'artificio e riso di bambino,
sguardo di donna nel vetro di uno specchio,
e tante altre fantastiche cose,
che esse appena scoperte svaniscano,
solo il tempo di un momento
solo un aroma, un respiro di vento,
ahimè lo sappiamo con tristezza.
E ciò che dura e resta fisso
non ci è così intimamente caro:
pietra preziosa con gelido fuoco,
barra d'oro di pesante splendore;
le stelle stesse, innumerabili,
se ne stanno lontane e straniere, non somigliano a noi
- effimeri-, non raggiungono il fondo dell'anima.
No, il bello più profondo e degno dell'amore
pare incline a corrompersi,
è sempre vicino a morire,
e la cosa più bella, le note musicali,
che nel nascere già fuggono e trascorrono,
sono solo soffi, correnti, fughe
circondate d'aliti sommessi di tristezza
perché nemmeno quanto dura un battito del cuore
si lasciano costringere, tenere;
nota dopo nota, appena battuta
già svanisce e se ne va.

Così il nostro cuore è consacrato
con fraterna fedeltà
a tutto ciò che fugge
e scorre,
alla vita,
non a ciò che è saldo e capace di durare.
Presto ci stanca ciò che permane,
rocce di un mondo di stelle e gioielli,
noi anime-bolle-di-vento-e-sapone
sospinte in eterno mutare.
Spose di un tempo, senza durata,
per cui la rugiada su un petalo di rosa,
per cui un battito d'ali d'uccello
il morire di un gioco di nuvole,
scintillio di neve, arcobaleno,
farfalla, già volati via,
per cui lo squillare di una risata,
che nel passare ci sfiora appena,
può voler dire festa o portare dolore.
Amiamo ciò che ci somiglia,
e comprendiamo
ciò che il vento ha scritto
sulla sabbia.

Hermann Hesse - La felicità, versi e pensieri

mercoledì 23 aprile 2014

L'emigrante

Una sera di maggio - Musa Franco

Correvano i "poveri anni cinquanta,"
nel mezzo dei verdi anni miei,
coi ciliegi in fiore, a primavera,
l'aria impregnata d'intenso odore
la partenza era imminente,
non più una chimera.
L'addio non fu per me uno strazio
per i genitori sì una fitta al cuore.
Aperta la gabbia, come un'uccellino
incontro al mondo, libero volai,
oltre le Alpi in treno andai.
Pupille incantate
su grandi montagne
dalle cime bianco innevate,
restavano fissate.
Laghi, valli, buie gallerie,
attonito ammiravo,
città, stazioni e lunghe ferrovie.
A quei visi alteri, freddi e tristi,
di uno strano rosa-pallido colorati,
a quell'idioma secco e incomprensibile,
lungo e faticoso fu l'adattamento.
L'entusiasmo fu presto spento.
Assalito da struggente nostalgia
poco dopo sarei venuto via.
I giorni, i mesi e gli anni
monotoni, duri, volavano
come piume al vento;
ad ogni tramonto, come un tarlo,
quello strano tormento
mi rodeva d'entro.
Come Ulisse, alla sua Itaca,
a casa anelavo tornare.
A Natale, quella malinconia
in pura gioia si mutava:
la Romagna rivedere,
il paese, i dolci colli,
la gente nella SITA,
era un rinascere alla vita.
Quei volti noti, olivastri e bruniti
li avrei tutti baciati.
Riudire, poi, il nostro dialetto
per il mio spirito
era un godimento perfetto.

Stefano Giannini

domenica 20 aprile 2014

Tradizioni in breve - L'uovo di Pasqua

Aurora - Salvador Dalì

Fin dell'inizio del cristianesimo la simbologia dell'uovo ha avuto una rilevante importanza. La sua forza simbolica non nasce però con il cristianesimo: infatti, come altre tradizioni, quella dell'uovo è stata mutuata da quella romana.
L'uovo è da sempre considerato, anche in età precedente a quella romana, simbolo di fertilità, quindi di vita e di rinascita: da qui l'uovo è diventato simbolo di Cristo che esce dal sepolcro come il pulcino esce dall'uovo.
Così, come nell'antica Roma si usava seppellire un uovo colorato di rosso nei campi auspicando un buon raccolto, nelle tombe dei primi martiri, accanto alla salma, un uovo di marmo simboleggiava le certezza della resurrezione.
Da qui la tradizione si diffuse in tutto il mondo cristiano coniando questo uso nelle più svariate forme, da quelle rituali a quelle espressive che rivestono l'uovo di scritte e colori, fino a giungere alla recente tradizione dell'uovo di cioccolato.

Sunwand

venerdì 18 aprile 2014

Per uscire dal tuo tempo migliore di come ci sei entrato



Ci impegniamo noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri:
né chi sta in alto né chi sta in basso,
né chi crede né chi non crede.
Ci impegniamo senza giudicare
Chi non si impegna,
senza condannare chi non si impegna,
senza disimpegnarci perché altri
non si impegnano.
Sappiamo di non potere nulla su alcuno
Né vogliamo forzare la mano ad alcuno,
siamo ed intendiamo rimanere devoti
al libero movimento di ogni spirito
più che al successo di noi stessi
e dei nostri convincimenti.
Ci impegniamo per trovare un senso alla vita,
a questa vita, alla nostra vita;
una ragione che non sia una
delle tante ragioni che ben conosciamo,
un utile che non sia una delle solite trappole
generosamente offerte ai giovani
dalla gente pratica.
Si vive una volta sola
E non vogliamo essere giocati
In nome di nessun piccolo interesse.
Non ci interessa la carriera,
non ci interessa il denaro,
non ci interessa il successo di noi stessi,
né delle nostre idee,
non ci interessa passare alla storia.
Abbiamo un cuore giovane e ci fa paura
Il freddo della carta e dei marmi.
Ci impegniamo
non per riordinare il mondo,
ma per amarlo,
per amare anche quello che non possiamo
accettare,
anche quello che non è amabile,
anche quello che pare rifiutarsi all'amore,
poiché dietro ogni volto e sotto ogni errore
c'è insieme una grande sete d'amore:
il volto ed il cuore dell'amore.

don Primo Mazzolari

martedì 15 aprile 2014

Il passato è una fionda.


Tutto è passato tuttavia non tutto se n'è andato. Molti momenti restano e il ricordo delle sensazioni, delle inquietudini, dei sentimenti ritorna ad accendersi come negli istanti in cui li ho provati.
Il vuoto che mia zia ha lasciato non se n'è andato, per esempio. Quando ho toccato con le mie mani le sue mani, fredde e prive di linfa vitale, avrei voluto infonderle il mio calore seguendo l'illusoria immaginazione che un flusso di energia termica potesse ridonarle la vita, potesse farla ritornare a me, a noi. L'avrei voluta lì accanto, come lo è sempre stata, il giorno della mia laurea: non se lo sarebbe perso il mio arrivo al traguardo. Guardo la sua foto che mi restituisce il suo sguardo, tenero e dolce, paziente e servizievole. Chissà, magari c'era quel giorno anche se non l'ho potuta abbracciare, toccare, stringere.
La presenza e la pazienza, la dolcezza e l'amore dei miei genitori e di Luca è il regalo più grande che il Signore mi abbia donato. E questo fa parte del passato su cui si regge il presente e attraverso il quale si può immaginare il futuro. Il passato è la fondazione della nostra casa che è il presente. Senza amore e senza continuità di affetti non siamo persone, non siamo persone in grado di sognare, immaginare, progettare.
Il passato è una fionda. È quell'elastico che ci proietta al di là del limite presente: quanto più lontano andiamo tanta più forza abbiamo impresso nel nostro elastico. Si tratta della forza che le persone accanto a noi ci danno, la forza del loro affetto, della loro vicinanza, del loro amore.
Il passato è una fionda, tutto è passato.

Sunwand
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