mercoledì 9 gennaio 2013

L'esperienza di Dio


Sovente l'esperienza mi ha fatto pensare che se Dio non fosse esistito saremmo stati costretti a inventarlo perché senza di Lui e di ciò che Lui rappresenta non riusciamo a vivere e siamo già in difficoltà ai primi vagiti o ai primi passi. Senza la fede in Dio è come se abitassimo in una casa senza tetto o volessimo leggere di notte senza lampada. Ma Dio non occorre inventarlo perché è già inventato ed è così vicino che ne possiamo sentire il respiro quando tacciamo o preghiamo.

Certo esistono problemi di visibilità, ma questi non dipendono da lui, ma dalle nostre complicazioni infinite. Dio è semplice e noi lo abbiamo complicato. E' vicino e noi lo pensiamo lontano.
 E' nel reale e negli avvenimenti e noi lo cerchiamo nei sogni e nelle utopie impossibili.
Il vero segreto per entrare in rapporto con Dio è la piccolezza, la semplicità del cuore, la povertà di spirito: tutte cose che vengono frustrate in noi dall'orgoglio, dalla ricchezza e dalla furbizia.
Gesù lo aveva detto: "Se non sarete come bambini... non entrerete" (Mt 18, 3) e non aveva certo voglia di scherzare o di prenderci in giro.
Il vedere o il non vedere Dio dipende dal nostro occhio: se è un occhio semplice lo vede, se è un occhio maligno non lo vede.

La mia fortuna fu di nascere in un popolo povero e tra quella meravigliosa gente di campagna impastata di semplicità e piccolezza. Mio padre e mia madre erano piccoli piccoli ed erano fatti apposta per credere e sperare.  Io mi sono trovato con la mia mano nelle loro mani. E tutto fu più facile. Quanto mi sono sentito in pace con loro e come stata serena la mia infanzia! Ero come entrato dentro una grande parabola dove Dio era di casa e io ero con Lui sempre.
Se per distrazione o superficialità mi dimenticavo qualche volta di Lui, ci pensava il dolore o il mistero a richiamarmene la presenza. Ma soprattutto erano gli avvenimenti a unificare adagio adagio il tutto. Certo che il mistero continuava a circondarmi, anzi si infittiva sempre più man mano che crescevo o cercavo di capire.
Il mistero!
Quello, il mistero, era come il ventre della mamma che mi conteneva e che mi generava alla vita, in quella penombra così discreta e dolce delle sue viscere. Cosa c'è di più vero e di più semplice di un ventre di donna che contiene un figlio? Ma cosa c'è di più misterioso e incomprensibile se ti metti a ragionare sul come,  sul perché, sul quando?

Sì, il segreto è essere bambini! In lui, nel bambino, c'è una intuizione di base data da Dio stesso. Dio dà la vita all'uomo, gli dà il pane per sostenerlo e gli dà questa intuizione che è la fede per guidarlo e illuminargli Il cammino. E la dà a tutti. Tutti!
La dà non soltanto agli ebrei e ai cristiani, ma a tutti, tutti, tutti.
L'ha data a Paolo quando diceva: "In Dio viviamo, ci muoviamo e siamo" (At 17, 28), l'ha data a me, duemila anni dopo Paolo, la dà agli uomini che vivono sotto le tende dell'Islam, la dà agli induisti che nascono sulle rive del Gange, o ai buddisti del Nepal e della Cina.
E' Dio il catechista del mondo e il Suo spirito che è l'Amore scavalca ogni frontiera e raggiunge i figli che ha creato e che sono suoi e che non può dimenticare.
Da quando conosco Dio so che Lui non può dimenticarsi di noi e ci fa il catechismo anche se viviamo in una terra lontana dove nessun missionario giungerà mai a parlarci di Lui.
Certo che il catechismo di Dio è semplice, semplice come è Lui ed è fondamentale per vivere da uomini e per realizzarci nella felicità.
Ed è in tutti.

Voi lo conoscete:
- Dio è il vivente ed è buono.
- Dio è il principio e la fine.
- Tutto il creato è segno di Lui creatore, è il Trascendente.
- Le cose reali sono il suo volto e la testimonianza della sua presenza.
- Dio ci parla attraverso gli avvenimenti, e la storia è la risposta alla Sua parola.
- Dio è eterno e noi siamo eterni con Lui.
- L'amore è la pienezza della sua legge.
- La vita va verso la resurrezione, e gli stati di morte sono i passaggi, i salti di qualità, la "pressura" per capire la vita.

Più moriamo a noi stessi e più ci liberiamo della morte. Ma allora dove sta la difficoltà?
Com'è possibile non credere? Com'è possibile non accogliere il dono fatto dal padre che è Dio al suo bambino che è l'uomo? Giovanni stesso dice che ciò è possibile: "Venne tra i suoi e i suoi non l'hanno accolto" (Gv 1, 11).
Sì, è possibile, è possibile non accogliere Dio ma questo non dipende da Dio, dipende da noi. Per accoglierlo, e non lo ripeteremo mai a sufficienza, bisogna essere bambini e in più poveri. Difatti Gesù dirà che la buona novella è annunciata ai poveri.

Ma qui occorre intenderci: cosa significa essere bambini, essere piccoli? Significa forse essere piagnucolosi e immaturi? E cosa significa essere poveri? Avere i pantaloni stracciati o la casa brutta? Certo che no. E la Bibbia si impegna in tutto il suo lungo cammino a farci capire il significato di queste due parole così importanti nel rapporto con Dio. Piccolo è l'uomo che non ha sicurezze definitive e cerca nella realtà che lo circonda la sua continua realizzazione. Povero è colui che non trasforma in idoli le cose che possiede e sente nel profondo che nulla riuscirà a saziarlo se non l'Assoluto. Non c'è via di scampo perché il contrario di piccolezza è potere, e il contrario di povertà è ricchezza. Israele non riuscì a capire il Cristo perché era impegolato nel potere e il ricco non seguì Gesù perché idolatrava le sue ricchezze.
Qualcuno potrà sorridere davanti a tanta semplificazione esposta sul tremendo problema della fede oggi, circondati come siamo da un'ondata di ateismo che sembra coprire la terra stessa; e d'altra parte qualcuno può rimanere stupito della mia affermazione che la fede in Dio è data a tutti come dono iniziale, come la vita, il pane, il respiro. Non pretendo di convincere: cerco di esporre con semplicità la mia esperienza di Dio.
Ognuno ha il suo cammino.


C'è chi vede Dio come il Creatore. C'è chi lo intuisce come l'Essere.
C'è chi lo definisce l'Architetto del mondo, il Motore Immobile.
C'è chi è arrivato a Lui attraverso la Bellezza, l'Estetica, il Numero, la Logica, l'Eterno, l'Infinito e chi l'ha sentito come l'Altro, il Trascendente. Se io dovessi dirvi come sono giunto a Dio, al termine della mia esistenza terrena, vi direi: per me tutte queste strade elencate mi hanno aiutato e le ho battute ora in un senso, ora in un altro. Ma ciò che più mi ha aiutato, facendomi uscire dal dubbio sistematico, è stata l'Esperienza di Dio. Quando qualcuno, specie dopo il mio ritorno dal deserto, mi chiede: "Fratel Carlo, tu credi in Dio?",  io gli rispondo: "Sì, te lo dico nello Spirito Santo, credo".
E se, incuriosito, continua a chiedermi: "Quali sono i documenti che porti per affermare una così grande verità?", io concludo: "Te ne porto uno solo: credo in Dio perché lo conosco".

Sperimento la sua presenza in me ventiquattro ore su ventiquattro; conosco e amo la sua Parola senza mai metterla in dubbio. Avverto i suoi gusti, il suo modo di parlare, soprattutto la sua volontà. Ma è proprio qui, nel conoscere la sua volontà, che tutto torna difficile. Quando io penso che la sua volontà è il Cristo stesso e il suo modo di vivere è morire d'amore, lo vedo allontanarsi all'infinito da me. Dio torna lontano, lontano, lontano come inaccessibile. Come faccio a vivere come è vissuto Gesù? Come faccio ad avere il coraggio di soffrire e morire d'amore come il Cristo stesso?

Io così falso, così ingiusto, così avaro, così pauroso, così egoista, così orgoglioso?
Sono chiacchiere le nostre di credere o non credere in Dio!
E' pura speculazione, il più delle volte inutile.
Ciò che conta è amare e noi non sappiamo o non vogliamo amare.

Ora capisco perché Paolo ebbe tanta forza di espressione quando giunse al punto esatto del problema spiegandosi con i Corinzi:
"Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne,ma non avessi la carità, sono un nulla" (1 Cor, 13, 1-2).
Ecco dove sta il vero problema: io corro il pericolo di essere un nulla perché non so amare. Non chiedetevi più se credete o non credete in Dio, chiedetevi se amate o non amate.
E se amate, non pensate ad altro, amate. E amate sempre di più fino alla follia, quella vera e che porta alla beatitudine: la follia della Croce, che è cosciente dono di sé e che possiede la più esplosiva forza di liberazione per l'uomo. Che questa follia d'amore passi attraverso la scoperta della propria povertà, quella vera, quella di non saper amare, è un fatto. Ma è anche un fatto che quando giungiamo a questo limite invalicabile dell'uomo, interviene tutta la potenza creativa di Dio che non solo ci dice:
"Io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21, 5),
ma aggiunge:
"Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne" (Ez: 36, 26).
Ed è per questo che quando amiamo sperimentiamo Dio, conosciamo Dio e il dubbio sparisce come nebbia al sole.

(...) Il nostro camminare sulla terra è già un camminare verso il Cielo.
Guardare un'alba o un fiore è già un guardare Dio. Scoprire una galassia con il telescopio è come avvicinare la tua piccolezza alla Sua grandezza, e il lambire la luce in un prato fiorito è già intravedere il vestito dell'Eterno. Quando mi innamoro di qualcosa o di qualcuno sento il Suo richiamo, e quando sono divorato dall'insaziabilità che mi regala una creatura avverto che solo Dio è l'Assoluto.
No, non è più un segreto voler conoscere Dio nell'esperienza, perché tutto il conoscere è esperienza di Lui. Ora ho capito che non esiste altra via, anche se misteriosa, e sovente dolorosa, e tutti la percorriamo, anche senza volerlo. E' Lui stesso che l'ha tracciata.

Persino il peccato mi conduce sulla Sua strada e forse mi conduce più di ogni altra cosa.
Difatti fuggendo da Lui ho sentito dolorosamente la Sua mancanza e nel ritorno ho conosciuto meglio il Suo cuore. E' talmente vera la cosa, da far dire a Santa Teresa:
"Oh potessi peccare senza offendere nessuno, peccherei perché imparerei meglio a capire il mio Dio".
Ma questa è una delle tante follie che sa pensare l'Amore quando è autentico. Però è certa una cosa: quando giungi lì non ti fa più paura nemmeno il male. Hai vinto e sai che Dio vince.
Peccato però che la vittoria non sia ancora definitiva. Ed è ancora la ragione che torna all'attacco e ti indebolisce nella posizione raggiunta. Sì, lo confesso: ciò che mi ha reso più difficile l'accettazione di Dio come esperienza, come incontro, è stata proprio la ragione, meglio, la ragione che non ama, la ragione di chi ragiona troppo, la ragione che non sa accettare il suo limite e che, pur non avendo ancora tutti i dati del conoscere, si permette di dire a ogni nuova scoperta: ma questa è cosa impossibile!

(...) Stanco di ragionare ho cercato di amare.
Mi sono pensato come bimbo in braccio a Dio come a mia madre. Mi sono addormentato così. Allora mi è venuta incontro la contemplazione. E la contemplazione è amorosa. E' al di là della meditazione, anche la più alta e la più profonda. E nella contemplazione che ho avuto l'esperienza di Dio. Se nella ragione covava il dubbio, nella contemplazione il dubbio scompariva. Ho sperimentato che Dio si dà a chi si abbandona totalmente. E nel suo darsi e nel tuo darti tu non ragioni più.
L'amore vero è pazzia, pazzia di Dio, pazzia della creatura.

(...) Fratello, vuoi un consiglio?
Non perdere più tempo nel chiederti se Dio esiste.
Ci pensa il Reale a dirtelo in tutti i modi. Tutto l'esistere te lo ripete.
E se tu non lo vedi, vuoi proprio dire che sei cieco,
e se non lo senti, significa che sei sordo.
Non sforzarti più, e un lavoro inutile. Cerca di toccarlo e tu lo puoi toccare nell'amore.
Ama e tutto diventa logico, facile, vero. Lo puoi toccare direttamente nella notte della contemplazione, quando Lui si svela nella tua passività amorosa.
Lo puoi toccare indirettamente servendo le creature in un servizio autentico e gratuito.
Ma ama.

Il problema di Dio è un problema di comunicazione. E la comunicazione si chiama Spirito Santo.
Dio lo scopriamo come incontro ma dentro, non fuori di noi. Dentro, non fuori di Lui.

(...) Nella presa di Lui, come comunicazione vitale, avvertivo la relatività di tutte le cose e l'assoluto della nostra partecipazione alla vita divina che è l'eterno amore di Dio. E la ragione, dove si era ficcata?
Lei sempre pronta a far domande indiscrete, dove si era nascosta mentre io contemplavo?
Era in ginocchio, vicino, nella sabbia arida, ridotta finalmente al silenzio;
anch'essa folgorata come lo ero io. Come una bambina.
Piccola come vuole l'amore. E io dicevo estasiato: grazie mio Dio! Grazie.

(...) Sì, fratelli, e concludo.
L'intimità divina è il massimo dell'esperienza che ho potuto fare di Dio.
L'intimità divina è sempre stata la risposta più chiara sulla sua esistenza e sulla sua presenza nella mia vita.

Carlo Carretto, da "Ho cercato e ho trovato"

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